L'amnesia del magistrato Ardita

Ermes Antonucci

Il membro uscente del Csm si candida a procuratore di Messina. Peccato che quando era a Palazzo dei Marescialli si impegnò a non presentare domanda per un ufficio direttivo per almeno un anno dalla cessazione della carica

Da un magistrato che ha fatto della coerenza e dell’inflessibilità i princìpi guida della sua carriera e della sua attività editorial-mediatica, un passo falso così nessuno se lo sarebbe aspettato. E invece, anche il “duro e puro” Sebastiano Ardita, magistrato antimafia e del Consiglio superiore della magistratura, alla fine ha fatto flop. E’ notizia di questi giorni che Ardita, in attesa di essere ricollocato in ruolo insieme a tutti gli altri ex componenti togati, ha presentato domanda per diventare procuratore capo a Messina, posto lasciato libero da Maurizio De Lucia, ora a capo dei pm di Palermo. Peccato che, dopo che nella primavera 2019 il Csm venne travolto dallo scandalo Palamara, Ardita decise di firmare una dichiarazione, insieme ad altri colleghi togati, attraverso cui si impegnava “a non presentare domanda per ufficio direttivo o semidirettivo” per almeno un anno dal giorno di cessazione dalla carica di membro del Csm. Il documento era stato elaborato “in un’ottica di responsabilità e con l’intenzione di contribuire a ristabilire un clima di fiducia nella magistratura e nel suo organo di governo autonomo”.

 

In altre parole, dopo l’emergere dello scandalo sulle nomine pilotate al Csm, alcuni consiglieri avevano tentato di rilanciare l’immagine dell’organo auto-stabilendosi una serie di obblighi. In questo caso quello di non correre per la direzione di importanti uffici giudiziari, sfruttando la visibilità ottenuta in virtù del ruolo rivestito come membri togati del Csm. La decisione di Ardita di presentare domanda per la guida della procura di Messina contrasta nettamente con l’impegno da lui stesso preso firmando quella dichiarazione.

 

Non solo. A onor del vero, la riforma Cartabia del Csm, entrata in vigore lo scorso giugno, ha riformato profondamente la materia del rientro in ruolo dei consiglieri del Csm. La legge ora prevede esplicitamente: “Prima che siano trascorsi quattro anni dal giorno in cui ha cessato di far parte del Consiglio superiore della magistratura, il magistrato non può proporre domanda per un ufficio direttivo o semidirettivo, fatto salvo il caso in cui l’incarico direttivo o semidirettivo sia stato ricoperto in precedenza”. Carte alla mano, dunque, Ardita non avrebbe potuto neanche presentare domanda per l’ufficio direttivo di procuratore di Messina. Ciò che l’ex consigliere potrà fare è rientrare, eventualmente anche in soprannumero, nella sede di provenienza con le funzioni precedenti, cioè a Catania come procuratore aggiunto.

 

E chissà se questa situazione non spingerà Ardita a cedere al corteggiamento di chi lo vorrebbe vedere scendere in politica, come candidato a sindaco del comune di Catania alle elezioni del prossimo maggio. Secondo quanto riportato da La Sicilia, Ardita sarebbe il “sogno proibito” del centrodestra, tanto che per convincerlo si starebbero muovendo emissari di Adolfo Urso, big di Fratelli d’Italia. Anche il Movimento 5 stelle, in realtà, aveva avanzato nelle scorse settimane l’ipotesi di un candidato esterno, come Ardita, tanto amato dai grillini nonostante la sua ormai nota rottura con Piercamillo Davigo, finita dritta al tribunale di Brescia con il caso della diffusione dei verbali di Amara.

 

I precedenti, tuttavia, fanno pensare che i tentativi di spingere la toga a candidarsi difficilmente andrà in porto. Già nell’agosto 2021 Ardita respinse, seppur con una certa deferenza, le richieste provenienti da più parti volte a farlo correre come sindaco di Catania. “Il mio compito non è questo e non mi va di occupare spazi che non mi competono – disse Ardita –. Oggi più che mai, con i magistrati accusati (non sempre a torto) di volere invadere gli ambiti della politica, sarebbe una scelta molto inopportuna, solo formalmente legittima”. Nel caso Ardita cambiasse idea, si sarebbe di fronte a un nuovo fallimento della coerenza.

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