l'intervista

Assolto dopo dieci anni, tappezza Prato di manifesti: "Tutti devono sapere il calvario che ho subito"

Ermes Antonucci

L’iniziativa di Maurizio Bettazzi, ex presidente del consiglio comunale di Prato, dopo l’assoluzione: "Ho trascorso dieci anni sulla graticola. Basta un'indagine per essere considerati già colpevoli", spiega al Foglio

Ha tappezzato la città di Prato di manifesti con il suo volto sorridente, nome e cognome, e una scritta a caratteri cubitali: “Assolto dopo dieci anni”. Più in basso le motivazioni utilizzate dal giudice: “Il fatto non sussiste”. Protagonista della vicenda è Maurizio Bettazzi, ex presidente del consiglio comunale di Prato. “L’obiettivo di questa mia iniziativa – spiega Bettazzi al Foglio – è far conoscere a tutte le persone della mia città il fatto che non ho commesso alcun tipo di reato e, soprattutto, raccontare il calvario che ho dovuto subire in questi dieci anni”. 

 

Nel 2013 Bettazzi venne accusato dalla procura pratese di abuso d’ufficio e corruzione, quest’ultima ipotesi di reato poi derubricata in induzione a dare o promettere utilità. Per i pm, l’esponente politico di centrodestra aveva fornito in qualità di mediatore finanziario una consulenza a una banca del territorio e a una società partecipata dal comune, la Asm (azienda dei servizi ambientali), che all’epoca era in cerca del rifinanziamento di alcune linee di credito. In particolare, i pm contestarono una fattura di 2.800 euro mai pagata da Asm. L’inchiesta provocò un terremoto politico che nel luglio 2013 indusse Bettazzi alle dimissioni dalla presidenza del consiglio comunale. 

 

La settimana scorsa, a distanza di quasi dieci anni, Bettazzi – assistito dagli studi legali Fanti e Cenni – è stato assolto dal tribunale, con la formula piena “perché il fatto non sussiste”, insieme a tutti gli altri imputati. Ora ha deciso di riempire la città, per almeno un mese, di cartelloni che ne riportano la notizia. Una scelta drastica, senza precedenti, per contrastare un fenomeno così impetuoso come il processo mediatico. 

 

Ricordo che all’epoca sulla mia vicenda uscirono paginate, lunghi articoli, locandine. A distanza di dieci anni la notizia dell’assoluzione è stata relegata alle pagine interne di alcuni quotidiani”, afferma Bettazzi. “Nell’immaginario collettivo l’apertura dell’indagine passò subito come una sentenza di condanna nei miei confronti”, aggiunge l’ex presidente del consiglio comunale di Prato. “Alcune persone hanno cominciato a non salutarmi più, altre fingevano di non avermi visto per strada. Per molti ero già colpevole, e per questo andavo evitato”. 

 

Ci sono altre persone invece alle quali purtroppo non potrò dire che la vicenda si è conclusa in maniera positiva”, aggiunge. “Mi riferisco ad Altero Matteoli, che per me è stato un secondo padre, a Franco Frattini, a Roberto Maroni. Sono certo che non avevano bisogno di una sentenza di assoluzione per sapere della mia innocenza, ma mi spiace che non abbiano potuto avere la possibilità di vivere con me questo momento”, si commuove Bettazzi.

 

Intanto, sono stati necessari dieci anni prima che il processo arrivasse a sentenza. “Ho trascorso dieci anni sulla graticola, soprattutto per colpa dei pubblici ministeri, che in alcuni casi hanno portato avanti una persecuzione contro di me. Addirittura avevano chiesto nei miei confronti gli arresti domiciliari nonostante mi fossi già dimesso e quindi non potessi reiterare il reato, inquinare le prove, visto che avevo consegnato tutta la documentazione, o fuggire”, spiega Bettazzi. “Tra fase cautelare e dibattimento, quindici magistrati giudicanti mi hanno sempre assolto. Nonostante ciò, i pm grazie alla vicenda hanno pure fatto carriera”. 

 

Mentre le immagini dei manifesti fatti affiggere a Prato stanno già cominciando a girare per tutta Italia, Bettazzi ci tiene a precisare che non si è di fronte ad alcun tipo di rivalsa politica: “Vorrei semplicemente parlare della mia vicenda, sperando che in futuro anche solo una persona in meno debba sopportare quello che ho dovuto sopportare io. Perché magari quella persona non avrà la mia stessa forza, avrà un carattere diverso dal mio, e in lui potrebbe prendere spazio anche l’idea di uccidersi. Bisogna evitare che tutto ciò accada. Bisogna lavorare perché la società migliori, non perché si imbarbarisca sempre di più”. 

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