Oltre le correnti. Parla Mirenda, l'unico indipendente eletto al Csm

Ermes Antonucci

Intervista ad Andrea Mirenda, l'unico togato (su 20) eletto al Consiglio superiore della magistratura senza il sostegno delle correnti: "A essere antisistema non sono io, ma loro. Lavorerò per basare le nomine su criteri oggettivi e trasparenti"

"Quando leggo che io sarei un magistrato ‘antisistema’ mi viene da sorridere. La verità è che a essere antisistema sono loro, le correnti. E’ antisistema chi si muove sotterraneamente e in modo occulto per alterare i processi decisionali di un organo di rilevanza costituzionale come il Csm. In questo modo ci si pone fuori dal sistema, fuori dall’ordinamento giudiziario e fuori dalla Costituzione. Il giudice per la legalità è contro l’antisistema”. A parlare, intervistato dal Foglio, è Andrea Mirenda, giudice del tribunale di sorveglianza di Verona, l’unico candidato indipendente eletto come componente togato del nuovo Consiglio superiore della magistratura. L’unico su venti.

 

In magistratura dal 1986, Mirenda è stato per anni un esponente della corrente di Magistratura democratica. Nel 2008, però, decise di abbandonare la corrente (e anche l’Anm) in polemica con i criteri spartitori alla base delle nomine del Csm, a cui la stessa Md mostrava di partecipare attivamente. Nel 2017 lo strappo finale: si dimise dall’incarico di presidente di sezione presso il tribunale di Verona e decise di tornare a fare il giudice di sorveglianza, denunciando il “mercato delle nomine” e la deriva correntizia, accusando addirittura il Csm di usare “metodi mafiosi”.

 

Il destino ha voluto che proprio lui fosse sorteggiato come candidato al rinnovo del Csm, in virtù del mancato raggiungimento del numero minimo di candidati nel collegio. “Non mi sarei mai candidato spontaneamente – racconta ora al Foglio – Mai avrei chiesto alcunché, essendo tenacemente convinto della necessità di introdurre il sorteggio come metodo di elezione del Csm”. “Accettata la candidatura – aggiunge Mirenda – credo che abbia pagato l’impegno profuso in quindici anni in una direzione ben precisa”, cioè quella di critica coraggiosa dell’antisistema correntizio, quello emerso poi chiaramente nel 2019 con lo scandalo Palamara. “Mi limitavo semplicemente a fare il bravo cronista, cioè a dare eco a ciò di cui si discuteva costantemente fra noi magistrati: l’esistenza di un nominificio, con regole alterate, preferenze evidenti, svalutazioni studiate e addirittura, come si è poi scoperto, nomine arbitrarie seguite motivazioni aggiustate”.

 

Ecco, l’antisistema delle correnti. “Tutti i cittadini hanno il diritto di associarsi liberamente, compresi i magistrati. Quello che non va bene è l’occupazione delle istituzioni da parte delle correnti. Quello che non va bene è che le correnti decidano delle sorti dei magistrati”, aggiunge Mirenda. “Il sorteggio è l’unico metodo di selezione dei candidati che potrebbe evitare questo fenomeno, perché eviterebbe in radice il debito di riconoscenza tra l’eletto e le correnti che lo hanno portato al Csm”.

 

Fatto sta che le correnti sono vive e vegete, e non per colpa loro. Alle elezioni per il rinnovo del Csm sono stati i magistrati ad attribuire 19 seggi su 20 a candidati proposti dalle correnti. “C’è stato un plebiscito bulgaro verso il sistema correntizio”, riconosce Mirenda. “La magistratura ha rimosso la questione etica. Ha rimosso i moniti del capo dello Stato a superare la modestia etica e ha massicciamente riconfermato l’antisistema. Questo a dimostrazione definitiva del fatto che, se mai ci dovesse essere una riforma della magistratura, questa non potrà che essere per volontà del legislatore”.

 

Dottor Mirenda, non si sente un po’ solo? “Sento profondo disagio e una profonda preoccupazione”, replica. “Spero che ci possa essere un dialogo con i laici e spero che i colleghi abbiano un fremito di legalità. Il fatto che, alla fine del mandato, nessuno di noi per cinque anni potrà aspirare a cariche direttive potrebbe stimolare un recupero di coscienza”.

 

Quali saranno le priorità di azione al Csm? “Mi concentrerò in primo luogo su quello che è stato la pietra dello scandalo, cioè il nominificio. La realtà associativa si è trasformata in un ufficio di collocamento. Occorre introdurre metodi cristallini per le nomine. Occorre individuare all’interno di quella massa di parametri che oggi servono a valutare l’attitudine del magistrato a rivestire incarichi direttivi e semidirettivi i parametri che hanno veramente significato, quelli che veramente dimostrano una capacità di coordinamento del lavoro dei colleghi”. “Insomma – conclude Mirenda – bisogna stabilire parametri di carattere oggettivo che sminino la discrezionalità, troppo spesso diventata arbitrio”.

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