Il centro commerciale distrutto da un bombardamento russo a Kyiv nella notte tra domenica e lunedì. I morti sarebbero otto (foto Efrem Lukatsky/Ap) 

Il diritto di pace e di guerra alla prova dell'invasione russa dell'Ucraina

Sabino Cassese

L’alternativa tra libertà e totalitarismo. La paralisi dell’Onu e le falle del diritto internazionale. Il rinnovato vigore della Nato e dell’Unione europea e la globalizzazione ridisegnata. Una conversazione a più voci

Nell’ultimo decennio del secolo scorso, un noto economista pronosticò che il mondo avrebbe attraversato una nuova crisi economica quando sarebbero usciti di scena coloro che avevano vissuto quella precedente, risalente al 1929-1933. Lo stesso può dirsi per la guerra. Nel teatro europeo vi è ora una nuova guerra a distanza di quasi ottant’anni dalla fine della Seconda guerra mondiale.

 
Democratico. Aggiungo che, come negli anni 40 del secolo scorso, anche questa volta l’alternativa non è soltanto tra pace e guerra, ma anche tra libertà e totalitarismo. Si intrecciano, quindi, problemi e idealità di ordine diverso.

 
Globalista. E’ il caso di sottolineare subito la peculiarità di questa guerra, che vede come protagonista la Federazione russa, la quale somma due caratteristiche: da un lato, è una delle potenze nucleari; dall’altro, è uno dei cinque componenti del Consiglio di sicurezza dell’Organizzazione delle Nazioni unite con potere di veto. Chiediamoci: che cosa sarebbe successo se questo conflitto non fosse sorto per iniziativa di un paese dotato della deterrenza nucleare e, insieme, del potere di veto al Consiglio di sicurezza dell’Onu? In un caso di questo tipo, il Consiglio di sicurezza avrebbe apprestato i cosiddetti caschi blu, forze militari di interposizione, impedendo l’invasione o la continuazione dell’invasione da parte dell’esercito russo nel territorio della Repubblica ucraina. In questo modo, sarebbe intervenuta un’organizzazione mondiale, l’Onu, sia per realizzare il suo scopo, che è quello del mantenimento della pace, sia per evitare tutti i danni che questa guerra, anche se si svolge in una parte limitata del mondo, sta provocando a tutto il mondo.

 

La chiamiamo guerra, ma è in realtà un’invasione proditoria, nascosta dietro motivazioni palesemente false

 
Filoccidentale. La chiamiamo guerra, ma è in realtà un’invasione proditoria dell’esercito di un paese nel territorio di un paese vicino (la decisione del Tribunale di Norimberga partiva proprio dalla condanna dell’invasione della Polonia da parte delle truppe di Hitler). Un’azione bellica non dichiarata, nascosta dietro motivazioni palesemente false. L’affermazione di Putin secondo la quale l’Ucraina può avere una sovranità solo in partnership con la Russia perché “noi siamo un solo popolo” e vi è “un’unità storica di russi e ucraini”, affermazioni smentite dalla dura resistenza ucraina alla invasione. L’intento dichiarato di denazificare una nazione il cui presidente è ebreo. La preparazione della guerra nascosta dietro esercitazioni militari alla frontiera. L’annuncio (21 febbraio) dell’indipendenza delle due regioni ucraine di Donetsk e di Luhansk. L’annuncio (24 febbraio) di un’operazione militare speciale, con la minaccia rivolta a chi volesse interferire, motivata dicendo di voler prevenire l’entrata di un paese confinante, sovrano e indipendente, nella Nato. La successiva affermazione del ministro degli Esteri che  l’Ucraina costituiva una minaccia diretta per la Russia. La palese contraddizione tra l’affermazione che l’Ucraina fa parte inalienabile della storia, della cultura e dello spazio spirituale russo, e la decisione di bombardarla.  Da ultimo, l’affermazione che l’Ucraina non ha sviluppato una forma di Stato stabile, mentre, al contrario, esiste come Repubblica indipendente da trent’anni e in tutti questi anni ha democraticamente scelto i titolari degli organi statali, cambiandoli nel tempo.

 
Filorientale. A me sembra importante ricordare quello che disse il 27 marzo 2014 in un’intervista a Die Zeit l’ex cancelliere Helmut Schmidt. Notò che l’Ucraina è uno Stato indipendente, ma non nazionale; disse che riteneva comprensibile l’annessione della Crimea e che giudicava le sanzioni una “stupidaggine”; ricordò che nelle due guerre mondiali i russi erano stati a fianco dell’Occidente mentre la Germania era stata dalla parte sbagliata.

   

La rete di regole introdotta dopo la Seconda guerra mondiale ha dimostrato di avere molti buchi

 
Statalista. Questa vicenda mette in luce il fallimento del diritto internazionale e delle organizzazioni globali. Dopo la Seconda guerra mondiale, gli Stati avevano costituito una rete internazionale che doveva far prevalere il diritto sulla forza. Oggi assistiamo alla prevalenza della forza sul diritto. Fin dal 1945 gli atti bellici sono stati sottoposti a norme di contenimento o di divieto. A norme analoghe sono state sottoposte anche quelle azioni che, durante le guerre, consistono in atti criminali, come l’uso di armi chimiche o la distruzione di beni culturali. Poi è stata creata la Corte penale internazionale, preceduta da tribunali speciali, sempre internazionali, come quello per gli eventi della ex Jugoslavia. L’articolo 8 dello statuto della Corte penale internazionale, firmato a Roma, che fa riferimento alla convenzione di Ginevra del 1949, vieta atti violenti nei confronti dei civili e vieta la distruzione di obiettivi non militari. Ben 123 stati hanno aderito allo statuto della Corte penale internazionale; 32 hanno firmato non e non ratificato. Tra questi, vanno inclusi anche la Russia e l’Ucraina, nonché gli Stati Uniti. Alla Corte si è rivolta l’Ucraina, sulla base di due sue dichiarazioni di accettazione della giurisdizione, con una sottile argomentazione: per fare accertare che l’Ucraina stessa non ha commesso il reato di genocidio nel Donbas e che la risposta russa a questo supposto crimine (l’invasione) è illegittima. Ma la Corte penale internazionale, che pure ha iniziato un’istruttoria, anche perché altri 41 Stati si sono rivolti ad essa, che può fare nei confronti della Russia, che non accetta la sua giurisdizione? Un mandato di arresto internazionale potrebbe essere esercitato nei confronti del presidente della Federazione russa o nei confronti delle altre persone che hanno usato armi proibite o colpito obiettivi civili? Anche la Corte internazionale di giustizia, che  –  sulla base della Convenzione sulla prevenzione e repressione del crimine di genocidio del 1948 –  ha preso, con una maggioranza di 13 favorevoli e solo due voti (Russia e Cina) contrari, una decisione cautelare su iniziativa della Repubblica ucraina, quale possibilità concreta ha di intervenire per far attuare l’ordine di sospendere il conflitto? Lo stesso può chiedersi per le proposte avanzate da più parti di creare un tribunale speciale che giudichi l’aggressore russo (M. Hunt, A Special Tribunal for Putin, “Project Syndicate”, 13 marzo 2022 e G. Brown, Seven Ways to Change the World, Simon and Schuster, 2021). La rete di regole che fu introdotta dopo la Seconda guerra mondiale e che è stata rafforzata negli anni successivi ha dimostrato di avere molti buchi.

 
Globalista. Tuttavia vi sono stati progressi in questi quasi ottant’anni. La Nato, costituita nel 1949, ha quasi triplicato il numero dei suoi membri in otto successivi allargamenti, in particolare dal 1999 al 2020, specialmente con paesi dell’Est. La Nato assicura una difesa collettiva nei confronti di attacchi armati a ciascuno dei suoi membri e i suoi atti contengono norme contro guerre di aggressione e di conquista come quella attuale. Inoltre, non si può ignorare che il Parlamento europeo il 28 febbraio, con 637 voti a favore e 26 astenuti, ha condannato l’invasione, assicurato protezione temporanea alla popolazione ucraina, aperto le frontiere, messo in allerta la Nato, deciso la fornitura di mezzi militari a carico del bilancio comune. Successivamente l’Unione europea ha preso l’iniziativa di chiedere alla Procura della Corte penale internazionale di svolgere un’investigazione, adottato misure cosiddette restrittive (cioè sanzioni), chiesto alla Commissione di fare proposte per l’adesione dell’Ucraina all’Unione europea, preso decisioni relative alla riduzione della dipendenza energetica dell’Unione europea dalle fonti russe. Anche l’Organizzazione delle Nazioni unite, il 2 marzo, con una decisione presa con 141 voti a favore su 193 Stati, solo 5 contrari e 35 astenuti, durante una riunione di emergenza dell’Assemblea generale quale non si vedeva dal 1982, ha condannato la l’invasione, segnalato i pericoli del conflitto, invitato a rispettare la Carta dell’Onu, proposto di creare corridoi umanitari, condannato la violazione dei diritti umanitari. L’Onu, in quella occasione, non poteva fare di più, perché l’Assemblea generale può fissare solamente i principi generali della cooperazione per il mantenimento della pace e fare raccomandazioni ai membri e al Consiglio di sicurezza. E’ quest’ultimo che è incaricato del mantenimento della pace. 

  
Statalista. Ma i passi concreti per realizzare l’obiettivo della pace sono stati poi fatti dagli Stati. Ad esempio, l’Italia con i due decreti legge 14 e 16 del 2022, che hanno stanziato fondi per interventi militari, rafforzato l’unità di crisi, previsto l’assistenza ai rifugiati e ai ricercatori. Le altre organizzazioni internazionali hanno dato “forfait”. L’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce) aveva missioni di monitoraggio in Ucraina, ma queste sono state rapidamente evacuate.  Il Consiglio d’Europa ha sospeso la Russia, ma poi quest’ultima ha dichiarato di volere uscire dal Consiglio. 

 
Globalista. Nonostante queste difficoltà, o forse proprio a causa di esse, i paesi membri dell’Unione europea hanno rinforzato la loro unione. Hanno sùbito dato attuazione alla direttiva del 2001 sulla protezione temporanea e attuato il meccanismo di protezione civile. Questi sono strumenti di tipo solidaristico. Il capo del governo polacco ha fatto dichiarazioni che in precedenza sarebbero state impensabili, come quella in favore dell’accoglienza dei profughi.

 
Statalista. Ma – come è stato a suo tempo autorevolmente osservato – i tribunali e gli altri organismi sovranazionali sono giganti dai piedi d’argilla. L’intervento più concreto è quello deciso dai singoli Stati che hanno ceduto e stanno cedendo armi, superando i dubbi che molti affacciavano sul fatto che potessero diventare parte del conflitto e che questo potesse autorizzare contromisure da parte del Federazione russa. Anche se motivati con l’esercizio collettivo di autodifesa, questi interventi sono di singoli Stati e giustificati dal fatto che le parti in conflitto non hanno eguali forze militari.

 
Liberale. La reazione degli Stati apre però un problema, quello delle sanzioni. Sono legittime? Quale efficacia hanno? Sono indirizzate alle persone e agli enti giusti? Sono problemi sollevati da Federico Fubini sul Corriere della Sera del 10 marzo scorso.

 

I tribunali internazionali sono giganti dai piedi d’argilla. L’intervento più concreto è quello deciso dai singoli Stati 

 
Globalista. Innanzitutto, una buona parte delle sanzioni è stata disposta in sede europea. In secondo luogo, proprio nei trattati europei si trova il fondamento delle misure restrittive che possono essere adottate. L’articolo 215 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea prevede la possibilità di introdurre misure restrittive. Il Regolamento 269 del 2014 ha regolato l’ambito di applicazione delle misure (articolo 17), il tipo di misure e gli obblighi che ne discendono (articolo 2), le modalità di attuazione (articoli 16, 12 e 15), gli obblighi di motivazione (considerando 8) e i rimedi giurisdizionali (considerando 6 e articolo 11.3). Quindi, l’Unione europea opera nell’ambito della legalità, consente le limitazioni di libertà solo se motivate e se nei loro confronti sono possibili rimedi giurisdizionali. Ci sono tutti gli ingredienti dello Stato di diritto, con tutte le caratteristiche dell’Unione europea come ordinamento composito, dove sono sdoppiate decisione e esecuzione. Infatti, una parte delle attività esecutive viene realizzata negli ordinamenti nazionali; in Italia, il decreto legislativo 109 del 2007, che riguarda anche le minacce della pace e della sicurezza, definisce che cosa si debba intendere per “congelamento dei fondi”, prevede l’istituzione di un apposito comitato e l’intervento del ministero dell’Economia delle Finanze, consente al governo nazionale di fare proposte all’Unione europea e prevede che l’Agenzia del demanio provveda alla custodia dei beni sequestrati. Poi, basta leggere i regolamenti di esecuzione del regolamento europeo di base 269 del 2014, per rendersi conto della cura posta dall’Unione europea nell’individuare persone fisiche e giuridiche e organi non statali a carico dei quali sono disposte le misure restrittive.

 
Democratico. Ma una delle persone colpite ha dichiarato: non sono io lo Stato. Voleva dire che le misure restrittive dovrebbero colpire soltanto la Federazione russa, il governo e i suoi rappresentanti, non soggetti privati.

 
Globalista. L’individuazione delle persone i cui beni sono stati sequestrati è stata fatta dall’Unione europea con cura, come si può notare se si leggono i diversi provvedimenti che hanno ampliato l’ambito soggettivo delle misure restrittive. Si tratta di persone direttamente o indirettamente legate alla Federazione russa e alla sua politica.  Convengo che questa situazione ha dato luogo a molte contraddizioni: si tratta di assicurare la pace, ma si decide di aumentare le spese militari (in particolare la Germania); da queste vicende verrà un’ulteriore impulso all’allargamento della Nato; l’Unione europea ha già deciso di dotarsi di una più ampia forza militare. Le restrizioni all’importazione di gas russo costringeranno a ritornare all’utilizzo di combustibili fossili, forse anche il carbone.

 

Le cosiddette catene globali del valore sono state ridisegnate, non eliminate; i meccanismi di allarme globali rafforzati

 
Statalista. Non si può negare, tuttavia, che queste vicende belliche nel teatro europeo segnino un fallimento del globalizzazione, che non è riuscita a tenere sempre sotto controllo quello che i francesi chiamano “État  puissance”.

 
Globalista.
Non bisogna trarre conclusioni troppo affrettate. Già con la pandemia vi è stato una diminuzione del commercio internazionale e del traffico aereo, seguita da chiusure delle frontiere e dal fenomeno del “reshoring”. Ma le cosiddette catene globali del valore sono state ridisegnate, non eliminate; i meccanismi di allarme globali rafforzati; gli strumenti di solidarietà, come l’Unione europea, potenziati. Non c’è, quindi, un arretramento della globalizzazione, ma piuttosto una diversa globalizzazione, così come, all’interno degli Stati, non vi è un avanzamento del potere pubblico, ma una sua riconfigurazione.

 
Democratico. Voglio ritornare alla connessione tra guerra e pace e democrazia e totalitarismo. Questa vicenda insegna che c’è un interesse generale alla democrazia nel mondo, perché avere un vicino non democratico è pericoloso. Quindi, è essenziale promuovere la democrazia. La promozione internazionale della democrazia è vista con sospetto, perché la democrazia parte dal “demos”, che è solo nazionale. Questo non toglie che vi siano interessi sovranazionali anche dei popoli nazionali, e che quindi questi debbano assicurarsi vicini democratici. C’è, infine, la lezione morale delle ultime vicende, che vorrei lumeggiare ricordando un episodio storico segnalatomi da un amico francese in questi giorni drammatici. Nel 1863, quando la Russia invase la Polonia, Alessandro Herzen, filosofo, scrittore e saggista politico russo, scrisse al francese Victor Hugo: “Fratello maggiore, aiuto! Dì la parola della civiltà”. La risposta di Victor Hugo – che ora riporto in traduzione italiana – suona oggi con una grande forza, se pensiamo all’Ucraina e non alla Polonia: “Soldati russi, tornate uomini. In questo momento vi è offerta questa gloria, coglietela. Intanto che c’è ancora tempo, ascoltate: se continuate questa guerra selvaggia; se voi, ufficiali, che avete un cuore nobile ma che un capriccio può degradare e buttare in Siberia,  se voi, soldati, servi ieri, schiavi oggi, violentemente strappati alle vostre madri, alle vostre fidanzate, alle vostre famiglie, asserviti alla tirannia, maltrattati, malnutriti, condannati per lunghi anni e per un tempo indefinito al servizio militare, più duro in Russia che in altra prigione; se voi che siete vittime vi schierate contro le vittime; se, nell’ora santa in cui sorge la venerabile Polonia, nell’ora suprema in cui vi viene data la scelta tra San Pietroburgo, dov’è il tiranno, e Varsavia, dov’è la libertà; se, in questo conflitto decisivo, trascurate il vostro dovere, il vostro unico dovere, la fraternità; se fate causa comune contro i polacchi con lo zar, il loro carnefice e il vostro; se, oppressi, non avete tratto altro insegnamento dall’oppressione che sostenere l’oppressore; se la vostra disgrazia vi fa vergognare. Se voi che avete la spada in mano, mettete al servizio del dispotismo, mostro pesante e debole che schiaccia tutti, tanto i russi che i polacchi, la vostra forza cieca e ingannata; se, invece di voltarvi e affrontare il macellaio delle nazioni, schiacciate vigliaccamente, sotto la superiorità delle armi e dei numeri, queste eroiche popolazioni disperate, rivendicando il primo dei diritti, il diritto alla patria; se, nel pieno del Diciannovesimo secolo, consumerete l’assassinio della Polonia, se lo fate, sappiatelo, uomini dell’esercito russo, cadrete, cosa che sembra impossibile, anche al di sotto delle bande americane del sud, e susciterete l’esecrazione del mondo civile! I crimini della forza sono e restano crimini; l’orrore pubblico è una punizione. Soldati russi, lasciatevi ispirare dai polacchi, non combatteteli. Quello che avete davanti a voi in Polonia non è il nemico, è l’esempio”.

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