Toghe Lucane tris, l'epilogo della saga

Luciano Capone

Dopo le trenta archiviazioni del primo capitolo e le dieci assoluzioni del secondo, assolto l'ex magistrato Bonomi per corruzione. Crolla così anche l’ultimo rudere del filone giudiziario avviato 20 anni fa da De Magistris

Dopo 11 anni è caduto l’ultimo rudere rimasto in piedi dopo il crollo dell’inchiesta “Toghe lucane bis”, che a sua volta era una specie di riedificazione dello sbriciolamento dell’inchiesta monstre “Toghe lucane” messa in piedi nel 2003 da un rampante pm di Catanzaro di nome Luigi de Magistris. Non poteva finire altrimenti, d’altronde il bis era nel nome: tutti prosciolti.

 

L’ultimo è l’ex sostituto procuratore generale di Potenza Gaetano Bonomi: la Cassazione ha annullato la condanna per corruzione perché il fatto non sussiste. Bonomi era stato già assolto in primo grado dalle principali accuse, ovvero quello di essere a capo di una specie di cupola anti-Woodcock, ma era stato condannato in primo grado a 1 anno e 8 mesi per fuga di notizie e corruzione, pena poi ridotta a 1 anno e 5 mesi in appello, per aver ricevuto da un imprenditore un soggiorno in un albergo (costo 250 euro) in cambio di un interessamento. Ora la Cassazione ha annullato senza rinvio la condanna per corruzione, mentre ha annullato con rinvio la rivelazione del segreto. In realtà, visti i tempi, la vicenda sarebbe chiusa già da un pezzo ma prosegue per l’ostinazione dell’ex magistrato che ha rinunciato alla prescrizione.

 

Secondo l'allora pm di Catanzaro Giuseppe Borrelli, ora procuratore capo a Salerno, esisteva un’associazione segreta – una P4 o P qualcosa – che mirava a distruggere il pm Henry John Woodcock. Ma nel 2017 tutti e dieci gli imputati, tra cui importanti magistrati, forze dell’ordine ed ex agenti dei servizi segreti, sono stati assolti. Ma per capire cos’è stato il bis, bisogna partire dal principio: “Toghe lucane”. Nel 2007 Luigi de Magistris chiude un’inchiesta di 200 mila pagine, aperta quattro anni prima, in cui ipotizza l’esistenza di un “comitato d’affari” che condiziona la vita economica e democratica della Basilicata. Una specie di loggia dei “poteri forti” lucani. Tra gli indagati ci sono 30 nomi eccellenti: politici, uomini di governo, cinque magistrati. Alla fine De Magistris per le anomalie dell’indagine viene trasferito dal Csm e l’inchiesta non arriva neppure al dibattimento: il pm che eredita il fascicolo chiede l’archiviazione per tutti, decisione confermata nel 2011 dal gup per l“impianto accusatorio lacunoso” e per la mancanza di “un qualunque accordo criminoso”. Ma ormai De Magistris, trasformato in fenomeno nazionale e vendicatore degli oppressi da Michele Santoro su Annozero, fa l’eurodeputato con l’Idv di Di Pietro ed è prossimo a diventare sindaco di Napoli.

 

Lo stesso anno, dalle macerie della costruzione di De Magistris, il pm di Catanzaro Borrelli edifica una nuova inchiesta che sembra un castello di carte in cui un’imputazione si regge a un’altra, senza che però ci siano basi solide. “Toghe lucane bis” descrive una loggia – si contestava la violazione della legge Anselmi – e un’associazione a delinquere composta da magistrati e sottufficiali con al vertice l’ex sostituto procuratore generale Bonomi, che prepara dossier e calunnie nei confronti di altri magistrati come Woodcock, ingiustamente accusato con esposti anonimi di aver rivelato notizie segrete a giornalisti come Santoro e Federica Sciarelli.

 

Tutti assolti. La loggia era una fantasia. E ora Bonomi è stato assolto anche dalla presunta corruzione. Dopo quasi 20 anni di quel castello di carte che era l’accusa sono rimaste solo le carte: 250 mila pagine prodotte. Non sono servite a dimostrare reati, ma sono state utili per costruire qualche carriera.

 

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali