“Il populismo dell'antimafia genera mostri”. Parla Pietro Grasso

Michele De Feudis

L'ex procuratore nazionale antimafia contro le semplificazioni populiste che hanno accompagnato la scarcerazione di Giovanni Brusca

“Chi conosce la guerra dello stato contro le mafie degli ultimi trent’anni non può cedere all’onda  di indignazione emersa dalla pancia del paese per la scarcerazione di Giovanni Brusca. È una posizione irragionevole. E lo dice chi doveva essere vittima di un attentato stragista”. Pietro Grasso, da quarant’anni in prima linea nella lotta ai clan, già procuratore nazionale antimafia e dal 2013 al 2018 presidente di Palazzo Madama, non teme di andare contro lo spirito del tempo, contro le semplificazioni populiste che hanno accompagnato la chiusura dei conti con la giustizia di uno dei simboli dell’orrore mafioso

 

  
Il primo pensiero dopo la liberazione di Brusca? “Si sapeva”, dice il senatore di Leu. "È stato condannato dai giudici con sentenze definitive dopo aver ottenuto una attenuante, per la collaborazione”. Le reazioni politiche di Enrico Letta (“un pugno allo stomaco”), Giorgia Meloni (“schiaffo alle vittime”) e Matteo Salvini (“legge sui pentiti da cambiare”) non convincono Grasso: “Mi paiono la strumentalizzazione di un sentimento per il quale si deve avere rispetto, come il dolore e la rabbia - umanamente comprensibile - delle vittime, che a loro volta vanno rispettate. Ma non si può chiedere l’annullamento della legge”.

   
Il fondamento della riflessione di Grasso è la difesa dello stato di diritto e della legislazione antimafia, compresa quella sul pentitismo: “I collaboratori - chiarisce - sono stati essenziali: Riina, Provenzano e Liggio, prima della legge vigente, venivano assolti perché non c’erano le prove, giunte poi con le testimonianze dei pentiti come Brusca, riscontrate da fatti obbiettivi. ‘Cosa nostra stragista’ non sarebbe stata sconfitta senza i pentiti”.

   
Nel riconoscere la ratio della scarcerazione contestata, Grasso mette da parte “risentimenti personali” verso il capomafia. “Immagini che in circostanze curiose seppi del progetto di un attentato contro di me. Nel dicembre del 1993 erano iniziate le collaborazioni di Di Matteo prima e La Barbera poi: quest’ultimo parlò di ‘un attentato contro un magistrato che stava a Monreale’. Non si ricordava il nome. Come sostituto procuratore nazionale antimafia fui coinvolto nelle indagini per prevenire questa strage. Interrogai in un posto segreto proprio La Barbera. Quando ci presentarono lui disse: ‘Iddu è’. Gelo nella stanza. Il magistrato contro cui cospiravano ero proprio io. Avevano già l’auto per mettere l’esplosivo in un tombino di fronte alla casa di mia suocera, che andavo a trovare perché malata. Tutto saltò per un problema di frequenze dei telecomandi per innescare la bomba”.

 
La legislazione antimafia, del resto, ebbe una lunga gestazione: “Buscetta ha iniziato a collaborare nel 1984 e la legge è arrivata nel 1991. L’altra legge fu completata nel 2001. Ho vissuto la stagione dell’attacco generalizzato ai pentiti. Avvenne quando smisero di rivolgere attenzioni verso l’ala militare e rivelarono gli intrecci di affari nell’area grigia tra boss, politici, istituzioni e imprenditori. Ci fu una campagna di denigrazioni, con le favole dei capitali ingenti versati ai collaboratori, descritti come delatori prezzolati, con l’effetto per eterogenesi dei fini di applicare nella nostra società il codice mafioso dell’omertà”.


Grasso non dimentica e rilancia: “La mia vita è fatta di fatalismo cosmico. Dovevo essere a Capaci nell’auto di Falcone, ma non rientrammo insieme in Sicilia perché trovai un posto sull’aereo Roma-Palermo. Ricordo ancora il numero, 1L. Dell’attentato mi avvisò la scorta. Gridai subito ‘assassini, assassini’. Andai al Pronto soccorso perché in tv dissero che Giovanni era ancora vivo. Arrivai all’ospedale, vidi il volto di Paolo Borsellino che mi fece intuire la tragica fine. Ormai sono storie lontane, ma il tutto non è passato invano. La guerra contro le mafie è in corso e la politica non deve delegittimare questo sistema legislativo, invidiato in tutto il mondo”. Da qui una considerazione realista: “Ridurre gli sconti per chi collabora significa sminuire l’incentivo a collaborare. La stessa indignazione si dovrebbe avere per chi vuole eliminare l’ergastolo ostativo, mentre va conservato l’ergastolo senza sconti per chi non collabora o non ha rotto con la criminalità”.

 
Due sono gli auspici finali di Grasso: “Superando il manicheismo giustizialisti-garantisti, Draghi e la ministra Cartabia hanno una occasione irripetibile di riformare la giustizia, possono intervenire su norme procedurali che non limitano le garanzie, per accelerare l’iter processuale”. Infine il suo impegno di educazione civica antimafia: “Vado incontro ai giovani attraverso Instagram, realizzo delle ‘storie’, rispondo alle loro domande. Il riscontro è eccezionale. Ho perso tanti amici, in trincea accanto a me. Vorrei che questa testimonianza fosse utile”. La chiosa finale: “Dalla storia del male, può nascere il bene”.