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Sistema Automatico di Riconoscimento Immagini

La legge ne regoli l'uso prima che diventi “sorveglianza indiscriminata”. Il parere del Garante

Il Sari è già in uso tra le Forze dell'ordine e potrebbe essere ulteriormente automatizzato, diventando così uno strumento di controllo universale e non più mirato verso determinati individui
 

Venerdì scorso il Garante della Privacy ha finalmente pubblicato un parere molto importante, cioè il primo pezzo di un perimetro normativo di cui si dovrà dotare l’Italia per usare le nuove tecnologie nel campo della sicurezza. Il Garante si è espresso negativamente nei confronti dell’implementazione in “real time” del Sari (Sistema Automatico di Riconoscimento Immagini), già in uso dalle Forze dell’ordine per identificare le persone attraverso le telecamere di sorveglianza. Fino a oggi, il Sari tradizionale, diciamo così, veniva usato andando a confrontare le immagini con un database di persone già segnalate, secondo una procedura simile a quella applicata per le impronte digitali. La grande differenza con il Sari Real Time è che il database verrebbe ampliato, e il riconoscimento verrebbe fatto in automatico, pressoché indiscriminatamente, attraverso l’uso dell’intelligenza artificiale. Per il Garante della Privacy, però, se fosse così implementato il sistema cambierebbe “la natura stessa dell’attività di sorveglianza”, perché segnerebbe il passaggio “dalla sorveglianza mirata di alcuni individui alla possibilità di sorveglianza universale”.

 

Il Garante fa l’esempio di una manifestazione di piazza: le telecamere con riconoscimento facciale individuerebbero tutti i partecipanti, e il rischio è che si realizzi “un trattamento automatizzato su larga scala che può riguardare anche persone presenti a manifestazioni politiche e sociali, che non sono oggetto di ‘attenzione’ da parte delle forze di Polizia”. Per l’Autorità della privacy, il parere negativo è “in linea con quanto stabilito dal Consiglio d’Europa”. E infatti già a fine gennaio, l’organizzazione di Strasburgo per la difesa dei diritti umani e della democrazia aveva pubblicato un documento con alcune linee guida rivolto ai governi dei 47 stati membri. Nel documento si propone  il divieto del riconoscimento facciale per “determinare il colore della pelle, la religione o altre fedi, il sesso, l’origine razziale o etnica, l’età, lo stato di salute e lo status sociale di una persona” e il divieto delle telecamere con la tecnologia di “riconoscimento emozionale”. Secondo il Consiglio d’Europa, “l’uso di tecnologie nascoste di riconoscimento facciale in real-time da parte delle forze dell’ordine può essere accettabile solo se strettamente necessario e proporzionato per prevenire rischi imminenti e sostanziali per la sicurezza pubblica”, rischi da documentare, però, in anticipo. Il Garante recepisce i suggerimenti dell’istituzione europea e scrive nel suo parere che “è proprio a causa della loro forte interferenza con la vita privata delle persone che la normativa in materia di privacy stabilisce rigorose cautele per i trattamenti di dati biometrici e per particolari categorie di dati”, e per trasformare il sistema, in pratica, c’è bisogno di una “adeguata base normativa”, che per ora in Italia non esiste.

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