Giudici, pm, eroi e nullafacenti
Chi lavora in tribunale? Il tempo perduto
Tra lockdown e sezione feriale quasi cinque mesi di chiusura. I processi penali arretrati hanno superato la soglia di un milione e mezzo. Ma chi controlla le presenze nelle corti e soprattutto nelle procure? Nessuno
Lui, Aristide Carabillò, meglio conosciuto come il principe del Foro, se la cava con un richiamo a Pitagora e davanti al deserto del Palazzo di Giustizia sostiene che “la verità ormai non la danno né le chiacchiere né i tribunali: la danno solo i numeri”. Statistiche ormai seppellite negli scantinati del ministero a Roma dicono che i processi penali arretrati hanno sfiorato, alla fine del 2019, la mastodontica cifra di un milione e mezzo. Se provate ad accatastare i fascicoli uno sopra l’altro vi troverete di fronte a una montagna alta quanto il Vesuvio. Sotto quella montagna di carte ci troverete di tutto: avvisi di garanzia, mandati di comparizione, decreti di archiviazione, ordinanze di rinvio a giudizio, memorie difensive, atti di imputazione, perizie giurate, sentenze di primo grado, motivazioni di appello, ricorsi in Cassazione. Ma ci troverete soprattutto uomini, drammi, lacrime, tribolazioni e rabbia. Sono almeno tre milioni di italiani che, in questo spaventoso anno di sventura, aspettano giustizia. La implorano le cosiddette parti lese, cioè le vittime e i familiari delle vittime: tutti quelli che hanno avuto un danno e sperano di ottenere quanto prima un risarcimento. E la reclamano anche i reprobi: quelli che sono stati segnati a dito dagli investigatori come responsabili del misfatto e sono stati appesi al palo della gogna; quelli che sono finiti in carcere o ai domiciliari, che sono stati già interrogati dal pubblico ministero e poi dal giudice per le indagini preliminari e ora chiedono con insistenza che un collegio giudicante li liberi da questo calvario senza fine, senza tempo, senza confini. Dentro o fuori, poco importa. L’importante è uscirne vivi. Ma i giudici dove sono?
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- Giuseppe Sottile
Giuseppe Sottile ha lavorato per 23 anni a Palermo. Prima a “L’Ora” di Vittorio Nisticò, per il quale ha condotto numerose inchieste sulle guerre di mafia, e poi al “Giornale di Sicilia”, del quale è stato capocronista e vicedirettore. Dopo undici anni vissuti intensamente a Milano, – è stato caporedattore del “Giorno” e di “Studio Aperto” – è approdato al “Foglio” di Giuliano Ferrara. E lì è rimasto per curare l’inserto culturale del sabato. Per Einaudi ha scritto anche un romanzo, “Nostra signora della Necessità”, pubblicato nel 2006, dove il racconto di Palermo e del suo respiro marcio diventa la rappresentazione teatrale di vite scellerate e morti ammazzati, di intrighi e tradimenti, di tragedie e sceneggiate. Un palcoscenico di evanescenze, sul quale si muovono indifferentemente boss di Cosa nostra e picciotti di malavita, nobili decaduti e borghesi lucidati a festa, cronisti di grandi fervori e teatranti di grandi illusioni. Tutti alle prese con i misteri e i piaceri di una città lussuriosa, senza certezze e senza misericordia.