(foto LaPresse)

Per Palamara & co. sì al procedimento disciplinare, no alla gogna mediatica

Ermes Antonucci

Il procuratore generale della Cassazione ha dichiarato che “ci sono conversazioni che riguardano anche alcuni consiglieri” togati attualmente in servizio al Csm. E annuncia totale riservatezza. Quella che spesso non viene garantita ai normali cittadini

La procura generale della Corte di Cassazione ha chiesto il processo disciplinare nei confronti di Luca Palamara e di altri nove magistrati coinvolti nello scandalo sulle nomine pilotate ai vertici delle principali procure del Paese. Ad annunciarlo è stato il pg della Cassazione Giovanni Salvi, in una conferenza stampa tenutasi questa mattina.

    

La procura generale ha chiesto alla sezione disciplinare del Csm di procedere innanzitutto nei confronti dei magistrati che presero parte all’ormai celebre riunione notturna avvenuta in un hotel romano l’8 maggio 2019 per discutere delle varie nomine ai vertici delle procure (tra cui quella di Roma): Luca Palamara, gli ex consiglieri del Csm Luigi Spina, Gianluigi Morlini, Corrado Cartoni, Paolo Criscuoli e Antonio Lepre (tutti dimessisi in seguito allo scandalo), e il magistrato in aspettativa - oggi deputato di Italia Viva - Cosimo Ferri. Per quest’ultimo la procura generale ha anche chiesto al Csm di chiedere l’autorizzazione alla Camera per utilizzare le conversazioni intercettate che lo riguardano.

 

Il pg della Cassazione ha chiesto il procedimento disciplinare anche nei confronti dell’ex pm di Roma Stefano Fava, dell’ex pm della procura nazionale antimafia Cesare Sirignano e di due magistrati segretari del Csm che, comunque, avrebbero svolto “un ruolo minore”. “Ciò che è successo è irreversibile, ciò che è emerso ha segnato un punto di non ritorno”, ha affermato duramente Salvi, per poi annunciare che le toghe coinvolte “rischiano anche le sanzioni più gravi”.

 

Lo scandalo, tuttavia, sembra ancora lontano dall’essere superato. Il procuratore generale della Cassazione ha infatti dichiarato che negli atti depositati nell’ambito dell'inchiesta di Perugia che vede indagato Palamara “ci sono conversazioni che riguardano anche alcuni consiglieri” togati attualmente in servizio al Csm, anche se le loro condotte devono ancora essere vagliate: “Dobbiamo fare un lavoro completo, valutare le diverse condotte”.

  

Insomma, il messaggio lanciato da Salvi è chiaro: la magistratura intende reagire allo scandalo e punire i responsabili. Qui, però, emerge la prima gigantesca contraddizione. Il pg della Cassazione ha fatto sapere che una delle accuse rivolte ai magistrati per i quali è stato chiesto il giudizio disciplinare è “l’interferenza nell’esercizio dell’attività del Consiglio”. Piccolo dettaglio: è da almeno cinquant’anni che le correnti togate interferiscono nell’attività del Csm, eppure nessuno si è mai posto il problema, né sembra ora voler affrontare concretamente la questione. Qualcuno vuole forse farci credere che le toghe coinvolte nel caso Palamara abbiano agito per conto proprio?

   

Colpisce, infine, la premurosa attenzione mostrata da Salvi circa la necessità di tutelare la riservatezza delle notizie che riguardano l’inchiesta disciplinare e le migliaia di chat intercettate nel telefono di Palamara che ancora devono essere analizzate: “Non ci saranno anticipazioni né oggi né tra qualche giorno. Il lavoro va prima completato. Non ci sarà alcuna comunicazione prima che le persone incolpate non ne abbiano avuto conoscenza”, ha dichiarato il pg della Cassazione, evocando l'esigenza di “un’assoluta riservatezza”. “Non vogliamo ciurlare nel manico, ma dobbiamo e vogliamo rispettare le regole, e dare l'immagine di un lavoro svolto con assoluta correttezza e trasparenza”, ha aggiunto. Una domanda, anche qui, sorge spontanea: il richiamo alla riservatezza è sacrosanto, ma perché questo deve valere per i magistrati e non anche per i normali cittadini coinvolti in vicende giudiziarie, sottoposti puntualmente alla gogna mediatica?