Il piano di battaglia del Csm

Lo scandalo nomine, la riforma Bonafede, il ruolo dei magistrati e lo scudo penale. Parla David Ermini

Firenze. David Ermini è passato dalle aule parlamentari a Palazzo de’ Marescialli, in quel dedalo di corridoi e uffici dove si svolge l’autogoverno della magistratura italiana. Al vicepresidente del Csm chiediamo, per prima cosa, se sia più facile destreggiarsi tra beghe di partito o di togati. “La politica è una passione che non si dimentica, non mi manca ma la seguo con particolare attenzione. Al Csm noi curiamo primariamente l’aspetto ordinamentale, un ambito completamente nuovo per me che sono un avvocato. Rispetto al mio precedente incarico di parlamentare Pd, quello attuale rappresenta un compito più difficile e appassionante”.

 
Il Csm, nel principio di questa consiliatura, è stato investito dallo “scandalo nomine” e la reputazione dell’organo ne è uscita ferita.

“È vero, il Csm ha subìto una profonda ferita ma poi ha saputo dimostrare di avere fondamenta solidissime. Abbiamo retto il colpo, soprattutto grazie al presidente della Repubblica Sergio Mattarella, un faro anche nei momenti più complicati. Non abbiamo mai saltato un plenum né un disciplinare, abbiamo continuato a lavorare a ranghi ridotti per garantire l’avanzamento della nostra attività”.

 
A volte si ha l’impressione che l’attività del Csm si esaurisca essenzialmente nelle nomine.

“Forse questo è l’aspetto dotato di maggiore risalto all’esterno ma l’istituzione ha un mandato ampio. Per mia precisa indicazione, abbiamo ripreso a seguire la cronologia delle vacanze e a tenere le audizioni affinché prevalga sempre la massima trasparenza”.

 
A causa delle dimissioni di diversi consiglieri per il “caso Palamara”, si sono tenute elezioni suppletive. Tra le new entry c’è Nino di Matteo, eletto con i voti di Autonomia e Indipendenza, la corrente di Piercamillo Davigo. L’inchiesta sugli incontri di Palamara e altri togati con politici come Luca Lotti e Cosimo Ferri ha prodotto un effetto: gli equilibri interni al Csm si sono rovesciati a favore di un’alleanza, oggi maggioritaria, tra i consiglieri di Davigo e la sinistra giudiziaria di Area.  
“Ho l’occasione finalmente di chiarire una volta per tutte come funziona il Csm, o perlomeno come dovrà funzionare. Le correnti sono una componente fondamentale che si occupa di politica giudiziaria ed elaborazione intellettuale. Che le correnti si confrontino anche sull’elezione dei consiglieri è un fatto normale, direi fisiologico. Una volta però che i magistrati sono stati votati ed eletti, devono recidere il cordone ombelicale con le rispettive correnti. Non si può permettere che i nostri consiglieri mantengano un rapporto fiduciario con la corrente che li ha eletti. Il Csm è un organo collegiale che decide attraverso meccanismi trasparenti, non esistono maggioranze precostituite perché non siamo in Parlamento. Le nomine si fanno sul merito, non sull’appartenenza”.

 
Un bell’auspicio, presidente.
“Non sono soltanto belle parole. Se si rispettano le regole, le ipotetiche influenze esterne si annullano. Io ci sto provando con tutto il cuore e la forza che ho. I consiglieri lavorano bene se sono liberi, non possono subire pressioni esterne. Per questo ho preteso, per esempio, che si tenessero le audizioni dei candidati, per ascoltare dalla viva voce di ciascuno le idee e i progetti, per avere un’idea più completa e approfondita di chi andrà a guidare una procura o una corte d’appello. Anche il ruolo del vicepresidente del Csm non può essere inquadrato in un rapporto fiduciario con chi ha contribuito o determinato la sua elezione. Il vicepresidente risponde esclusivamente alla Costituzione e al presidente della Repubblica”.

 
Intervistato su Radio 1 da Giovanni Minoli dopo un lungo silenzio, il magistrato Palamara ha dichiarato che anche la sua designazione a numero due di Palazzo de’ Marescialli fu negoziata nelle famigerate riunioni notturne, alla presenza di Lotti e Ferri.

“In qualità di presidente della sezione disciplinare, non rispondo alle affermazioni di Palamara, soggetto incolpato. Sarebbe inopportuno esprimermi su indagini penali e disciplinari ancora in corso. Quella del vicepresidente è certamente un’elezione di tipo politico-istituzionale, fondata su accordi tra correnti e politica. Ricordo quando nel 2002, al posto del candidato di Berlusconi, l’avvocato Giuseppe di Federico, fu eletto invece l’ex ministro Dc Virginio Rognoni su indicazione della Margherita e con i voti della maggioranza dei consiglieri togati e laici. Lo stesso è accaduto per il mio predecessore, Giovanni Legnini. Le nomine per gli incarichi direttivi e semidirettivi invece sono l’esito di un vero e proprio concorso su titoli: esse dunque non ammettono accordi di sorta. Un conto è la nomina del vicepresidente, di carattere politica, un conto è la nomina di un procuratore aggiunto o di un presidente di tribunale”.

 
Per quanto concorso su titoli, lei sa bene che sono pendenti, presso Tar e Consiglio di stato, centinaia di ricorsi di candidati esclusi, proprio perché esiste un margine di discrezionalità nel quale intervengono le logiche correntizie. Le nomine a pacchetto, da lei stigmatizzate, sono l’emblema di questa degenerazione.

“Accade spesso che nessun candidato presenti tutti gli indicatori perfetti per essere eletto. Il Csm allora applica una valutazione discrezionale per far prevalere l’uno o l’altro. Se qualcuno si sente leso, può ricorrere in via giurisdizionale”.
Recentemente il Csm, in modo abbastanza inspiegabile, ha bocciato la nomina alla procura nazionale antimafia di Catello Maresca, il pm che con le sue indagini ha condotto alla cattura del boss dei casalesi Michele Zagaria.
“Su questo non posso pronunciarmi”.

 
Il Foglio ha raccontato la storia dei 251 magistrati, vincitori di un concorso bandito nel 2017, che attendono che lo stato li faccia lavorare. In via Arenula il decreto di nomina è andato smarrito.

“Noi abbiamo svolto l’attività di nostra spettanza. A ottobre la graduatoria, approvata dal Csm, è stata regolarmente trasmessa al ministero, ignoro che cosa sia accaduto successivamente. Deve essere il ministro della Giustizia a rispondere in merito”.

  
Servono questi ulteriori 251 togati? 
“Certo che sì. Va anche detto però che gli uffici giudiziari spesso restano sguarniti per carenza non di magistrati ma addirittura di candidati, in certe zone d’Italia nessuno vuole andare a fare il magistrato e i bandi restano deserti. Così è impossibile riempire i vuoti di organico”.

  
Veniamo al caso dell’ex Ilva: dopo l’intervento dei pm guidati da Francesco Greco, sembra che attorno alla principale acciaieria d’Europa, pari all’1,4 percento del pil nazionale, si contendano il primato due diverse procure. Secondo lei, questo conflitto potrebbe arrivare alla procura generale della Cassazione?
“Non mi sono mai intromesso in vicende giurisdizionali, e non intendo cominciare adesso. In caso di contrasto tra due procure l’istituzione competente a decidere è la procura generale della Cassazione”.

 
Nel 2015, sull’onda dei sequestri preventivi di Ilva e Fincantieri, il suo predecessore Giovanni Legnini scrisse un editoriale sul Corriere per richiamare i magistrati a soppesare, nella loro attività, anche le conseguenze economiche e sociali dei provvedimenti giudiziari.

“Il magistrato risponde unicamente alla legge ma, come dico sempre agli studenti della scuola di magistratura, il magistrato non deve mai dimenticare che dietro un foglio di carta c’è una persona in carne e ossa, un insieme di relazioni umane, una famiglia, un cuore. Io mi auguro che i magistrati riescano a vincere questa sfida perché quando parla un magistrato parla lo stato italiano”.

 
Un’azienda che porta avanti un piano di risanamento ambientale può essere chiamata a rispondere dei comportamenti precedenti?
“Lei si riferisce allo scudo penale”.

 
Non osavo dirlo.
“Guardi, non ho remore a esprimermi sul punto. Quando ero in Parlamento, io ho votato lo scudo per Taranto. Non possiamo prendercela però con i magistrati. E’ una scelta legislativa, spetta alla politica decidere”.

  
Trasferiamoci in un altro comune pugliese: due ex pm di Trani sono stati condannati in primo grado per violenza privata sui testimoni, tre invece sono sotto indagine per corruzione in atti giudiziari, truffa ed estorsione. Viene da domandarsi com’è possibile che, in questi anni, nessuno si sia accorto che a Trani qualcosa non funzionava.
“Il Csm non ha potere di iniziativa disciplinare, appannaggio esclusivo del ministro della Giustizia e del procuratore generale presso la Cassazione. Noi facciamo da giudice in un procedimento già avviato”.

 
Avete armi spuntate, insomma.
“Possiamo disporre trasferimenti per incompatibilità ambientale o disciplinare. Da quando presiedo la sezione disciplinare, abbiamo rimosso quattro o cinque magistrati, non siamo stati timidi. E’ normale che tra i novemila magistrati ci siano anche persone che commettono reati. Vale per loro la regola che vale per ogni cittadino: quando sbagli devi pagare”.

  
A Trani il procuratore capo di allora, Carlo Maria Capristo, attualmente indagato per abuso d’ufficio, è stato poi promosso alla guida della procura di Taranto. Si occupa dell’ex Ilva adesso.

“Non posso parlare di questioni in corso. All’epoca del suo trasferimento io non c’ero e non conosco il fascicolo. In ogni caso, non posso rispondere, c’è un obbligo di riservatezza. Mi lasci ribadire però che contro il magistrato che sbaglia esistono rimedi giurisdizionali (ricorso in appello e per Cassazione), amministrativi e disciplinari. Per i reati funziona la giustizia penale come per ogni cittadino”.

   
Resta il fatto che tra Taranto e Trani la situazione appare perlomeno opaca.
“Un giudice deve assumere una decisione attraverso lo studio, la competenza, l’equilibrio, il buon senso e l’applicazione. Se non lo fa, esistono sistemi giurisdizionali”.

  
Rispondere che si può sempre ricorrere in giudizio è poca cosa, presidente.
“Un giudice emette la sentenza in nome del popolo ma non a seconda della volontà popolare perché non deve cercare il consenso. Il giudice deve comportarsi in modo eticamente corretto, deve essere e apparire al di sopra delle parti. Chi attacca la giurisdizione attacca la democrazia liberale”.

   
Il 23 ottobre la Consulta ha stabilito che è incostituzionale negare i permessi premio ai condannati per mafia anche se non collaborano con la giustizia.
“Nel mio ruolo, non posso che esprimere rispetto per la sentenza della Consulta. Se dessi la mia opinione, commetterei una invasione di campo”.

   
Adesso toccherà ai magistrati di sorveglianza, già sotto organico, valutare caso per caso.
“Aumenterà il loro lavoro, è innegabile”.

 
Sull’annosa questione delle porte girevoli tra magistratura e politica, il Csm, nella scorsa consiliatura, ha assunto una delibera che sostanzialmente le vieta. Il Parlamento non ne ha fatto nulla.
“Le leggi spettano al potere legislativo, dunque la domanda andrebbe rivolta al Parlamento”.

 
Tornando alle nomine, quando arriverà quella attesissima del successore di Giuseppe Pignatone?
“Per la procura di Roma speravo di riuscire entro dicembre, temo invece che slitterà a gennaio”.

 
L’anno prossimo ricorrono i quarant’anni dall’assassinio, a opera delle Brigate rosse, del giurista Vittorio Bachelet, già vicepresidente del Csm nella seconda metà degli anni Settanta.
“Fu ucciso il 12 febbraio del 1980, una data da ricordare coinvolgendo anche le giovani generazioni. I nostri studenti ignorano la storia italiana recente, per loro dopo il 1945 c’è il buio completo. Cureremo una pubblicazione apposita, a più voci, per raccontare gli anni Settanta e le vittime del terrorismo, i tentativi di colpo di stato, le bombe sui treni e nelle piazze, gli attacchi della mafia e della criminalità organizzata. In pochi ricordano che nel nostro paese ventotto giudici sono stati ammazzati da terroristi e mafiosi. La nostra identità nazionale si fonda sulla memoria, non sul filo spinato. Per esercitare una cittadinanza consapevole dobbiamo sapere da dove veniamo”.

 
La riforma Bonafede sull’abolizione della prescrizione dopo il primo grado di giudizio spacca il governo. Come finirà?
“Difficile dirlo. Nel parere adottato al tempo dell’approvazione della norma ‘spazzacorrotti’, il Csm ha chiarito che sospendere la prescrizione senza certezza sull’effettiva accelerazione dei procedimenti sarebbe un errore tecnico. Se davvero entrasse in vigore dal prossimo primo gennaio, la riforma creerebbe molti problemi di tipo pratico e giuridico. L’Italia non può permetterselo”.

 
Lei prevede un Natale caldo?
“Ho già trascorso un’estate a cinquanta gradi, sono l’ultimo a poter parlare”.

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