Calano i reati ma le carceri sono sempre più piene

Mentre Lega e M5s si scontrano sulla riforma della Giustizia, l'associazione Antigone presenta il XV rapporto sulle condizioni di detenzione. “L'Italia manda messaggi 'manettari'”, ci dice il Garante dei detenuti

Enrico Cicchetti

Roma. Il XV rapporto annuale sulle condizioni di detenzione che l'associazione Antigone, da sempre impegnata nella difesa dei diritti dei carcerati, ha presentato oggi a Roma si intitola “Il carcere secondo la Costituzione”. Colmare la distanza tra la pena reale e la pena secondo la Carta è ciò a cui si richiama il lavoro dell'organizzazione. Il mandato costituzionale dispone che “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. La prigione non è un luogo dove dimenticare i reclusi ma uno stato liberale deve garantire il beneficio effettivo dei diritti. “Chi dice che le persone debbano marcire in galera – ha esordito il presidente di Antigone Patrizio Gonnella in conferenza stampa – non legga il nostro rapporto: è un documento valido per chi sta dentro l'arco costituzionale”. Se è giusto dire che tutti devono rispettare la legge, lo stato per primo deve curarsi di attuare i mandati costituzionali.

  

Qui il rapporto completo di Antigone

 

“In questo momento storico l'Italia, ma in generale tutto l'occidente, sta dando messaggi piuttosto 'manettari'”, dice al Foglio Mauro Palma, il Garante nazionale delle persone private della libertà. “È come se vivessimo nell'oscillazione di un pendolo. La libertà è un valore e un'aspirazione che ci dev'essere per tutti o una concessione per chi se la sappia regolare bene? C'è un discrimine culturale, trasversale a diversi schieramenti politici: ciclicamente in Italia si forma l'idea che i diritti siano qualcosa che ti devi meritare mentre sono in sé un valore che preme alle democrazie. Non vanno mai eliminati come valore. Spero di avere davanti abbastanza anni per vedere il pendolo oscillare ancora”. L’abolizione della prescrizione dopo il processo di primo grado, la difesa sempre legittima, i generalizzati aumenti delle sanzioni carcerarie: sono solo alcune delle politiche che definiscono la sterzata giustizialista all’ordinamento penale, prima disegnata nel contratto di governo firmato da Lega e M5s e poi attuata dall'esecutivo. Che oggi trova l'ennesimo terreno di scontro sulla riforma della Giustizia, per Salvini “lo snodo fondamentale” (cioè il campo di battaglia) del dopo Europee. Al di là del teatrino pre-elettorale tra i due azionisti di maggioranza, resta comunque una visione comune sul carcere come semplice punizione, senza recupero: “Buttare la chiave” è il concetto comune a entrambi i partiti. Tanto che dall'8 al 10 maggio scorsi, gli avvocati penalisti sono tornati a scioperare contro la “deriva populista e giustizialista della legislazione penale in Italia” che, come ha denunciato l’Unione Camere penali italiane, “oggi si è trasformata in un obiettivo prioritario del governo del Paese”.

  

Diminuiscono i crimini, aumentano le pene

Per smontare la retorica del populismo penale viene utile allora guardare ai dati forniti da Antigone: in Europa i reati diminuiscono così come il tasso di detenzione, che è calato del 3,2 per cento negli ultimi due anni. Anche in Italia i reati sono diminuiti. Ma nello stesso periodo i detenuti sono aumentati del 7,5 per cento. Tra i paesi dell’Ue il nostro è quello in cui il tasso di detenzione è aumentato di più, mentre in Germania diminuiva del 15 per cento e in Spagna del 20. Non è vero che il nostro paese è lassista con chi commette reati. È vero il contrario: il 17 per cento delle condanne va dai 10 ai 20 anni, a fronte di una media europea dell’11. Il 27 per cento dei detenuti ha una pena compresa tra i 5 e 10 anni: 9 punti percentuali in più rispetto alla media europea (del 18 per cento). I detenuti senza una condanna sono Il 34,5 per cento del totale, oltre dieci punti in più della media europea che è del 23 per cento. 

  

Dal nuovo rapporto emerge che il numero dei reati è in costante calo da anni. E la tendenza è stata di recente confermata dal nuovo governo: nella relazione annuale sulla sicurezza presentata a febbraio al Parlamento, il ministero dell’Interno ha dichiarato che nel 2017 i delitti sono calati del 2,32 per cento rispetto al 2016. Un trend confermato nei primi nove mesi del 2018, durante i quali, rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, i delitti sono diminuiti dell'8,3 per cento. Da gennaio a settembre 2018, rispetto agli stessi mesi del 2017, gli omicidi volontari sono calati del 18,5 per cento, così come le rapine (-9,1 per cento), con una diminuzione molto rilevante di quelle in banca (-30 per cento) e in appartamento (-15,6 per cento). Sono poi diminuiti i furti (-8 per cento) e le violenze sessuali (-6,1 per cento). Nonostante questo, “negli ultimi anni il legislatore – facendo leva su un’indistinta e indotta percezione pubblica di insicurezza – ha più volte modificato il codice penale, motivando tali interventi con l’obiettivo di contrastare presunti fenomeni criminali predatori in aumento”, spiega il report. “È accaduto nel caso della nuova legge sulla legittima difesa o in quello dei vari aumenti di pena voluti nel tempo per i reati di rapina o di furto in appartamento (anch’essi in calo)”. L’Italia non è solo un paese più sicuro e meno violento che in passato, è anche uno dei paesi europei in cui si uccide meno. Eppure il numero dei condannati all'ergastolo, aumenta inesorabilmente.

  

 

  

Eppure l'affollamento del sistema penitenziario italiano è ancora in crescita e sfiora attualmente il 120 per cento. “Con questo trend nel giro di due anni si tornerà ai numeri della condanna europea” avverte Antigone. Nel 18,8 per cento dei casi, sulle 85 carceri visitate durante il 2018 dall'associazione, le celle non rispettano il parametro dei tre metri quadri per detenuto, soglia minima e al di sotto della quale per la Corte di Strasburgo c'è trattamento inumano o degradante. Le carceri di Taranto e Como, con un tasso di affollamento rispettivamente del 199,7 per cento e del 197 per cento, sono le più sovraffollate d’Italia. 

 

  

La crescita di detenuti, secondo Antigone “è dovuta in particolare a una diminuzione delle uscite che corrisponde a un aumento delle pene scontate dai detenuti condannati in via definitiva, nonostante non si abbia un parallelo aumento della gravità dei reati commessi. Se nel 2008 l’11 per cento dei condannati scontava una pena inferiore a un anno, nel 2018 ciò accadeva solo al 4,4 per cento. Se nel 2008 il 47,1 per cento dei condannati scontava una pena compresa tra 1 e 5 anni, nel 2018 ciò accadeva al 41,4 per cento. Se viceversa nel 2008 il 18 per cento dei condannati scontava una pena più lunga e compresa tra i 5 e i 10 anni, nel 2018 questa percentuale saliva al 26,8 per cento. Ma questo non riguarda solo le condanne di chi è detenuto. In generale dal 2008 al 2017 le condanne inferiori ai 5 anni sono diminuite di circa un terzo, mentre quelle più lunghe sono più che raddoppiate.

 

Stranieri

Non è vero che con l’aumento dell’immigrazione è aumentato il numero degli stranieri detenuti. Non è vero che gli stranieri sono un pericolo per la sicurezza. Non è vero che gli stranieri commettono reati più gravi. Se cresce il numero dei detenuti, diminuisce in numeri assoluti e in percentuale quello degli stranieri in carcere, a conferma di quanto non esista alcun connubio immigrazione-criminalità. Negli ultimi dieci anni sono diminuiti di oltre 1.000 unità: gli stranieri erano il 34,27 per cento al 31 dicembre 2017, il 33,9 per cento al 31 dicembre 2018 e sono attualmente il 33,6 per cento. Se nel 2003 su ogni cento stranieri residenti regolarmente in Italia 1,16 finiva in carcere, oggi la percentuale è scesa allo 0,36 per cento (considerando anche gli irregolari, cosa che avrebbe invece dovuto far aumentare la stima).