Matteo Salvini (foto LaPresse)

Dalla Consulta arriva un segnale forte e chiaro contro il populismo penale

Ermes Antonucci

Mentre Salvini vuole aumentare la pena massima a sei anni per chi è in possesso di pochi grammi di cannabis, arriva una sentenza che è un richiamo alla proporzionalità

Roma. La Corte costituzionale lancia un messaggio molto chiaro al ministro dell’Interno, Matteo Salvini, e a tutta la maggioranza gialloverde: il populismo penale ha un limite, rappresentato dai principi basilari della nostra Costituzione come la proporzionalità, la ragionevolezza e la finalità rieducativa della pena.

 

In una sentenza (n. 40) depositata venerdì, con relatrice Marta Cartabia, infatti, la Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 73, primo comma, del Testo unico sugli stupefacenti, dove si prevede come pena minima la reclusione di otto anni per il reato ordinario di spaccio di droga, e ha deciso di abbassare la pena a sei anni alla luce dei pressanti inviti rivolti al legislatore negli ultimi anni affinché modificasse la norma, rimasti inascoltati. In particolare, la Corte ha rilevato che la differenza di ben quattro anni tra il minimo di pena previsto per la fattispecie ordinaria (otto anni) e il massimo della pena stabilito per quella di lieve entità (quattro anni) costituisce “un’anomalia sanzionatoria in contrasto con i principi di eguaglianza, proporzionalità, ragionevolezza (art. 3 della Costituzione), oltre che con il principio della funzione rieducativa della pena (art. 27 della Costituzione)”.

 

La sentenza della Consulta contiene un monito indiretto, ma di grande rilevanza, nei confronti del ministro Salvini, che proprio nei giorni scorsi ha annunciato un disegno di legge per rafforzare il contrasto allo spaccio di droga che mira a eliminare nei fatti la lieve entità, aumentando la pena massima da quattro a sei anni anche per chi dovesse essere trovato in possesso di pochi grammi di cannabis, e rimuovendo la possibilità al giudice di disporre per i tossicodipendenti una pena alternativa al carcere. Nella miglior tradizione del populismo penale, la riforma è stata annunciata dal leader della Lega all’indomani di un fatto di cronaca: il caso di Porto Recanati, dove una coppia è morta in seguito a uno scontro con un’auto guidata da uno straniero con precedenti per droga. Vista la pronuncia di venerdì, è possibile ipotizzare che se la riforma che aumenta la pena minima per i casi di lieve entità andasse in porto, questa sarebbe bocciata dalla Consulta in virtù del mancato rispetto del principio di proporzionalità della punizione rispetto alla condotta illecita.

 

“La sentenza della Corte è in chiara controtendenza contro le derive populiste nelle quali siamo immersi – ha notato con efficacia Patrizio Gonnella, presidente dell’associazione Antigone, da sempre impegnata nella difesa dei diritti dei detenuti – Il diritto non può affidarsi a categorie ad esso estranee. Non si possono prevedere pene a caso a seconda degli umori e dei bisogni di consenso”. Insomma, di fronte al populismo penale del governo della forca, la Consulta ha voluto ribadire con decisione il proprio ruolo di garante dell’ordinamento costituzionale e democratico del paese. E l’impressione è che lo scontro con l’esecutivo sia appena cominciato.

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