Forca e referendum

Ermes Antonucci

Affidare la materia penale alla volontà popolare è inquietante. Parla Caiazza (Camere penali)

Roma.Sono esterrefatto, non si può pensare di affidare la materia penale alla volontà popolare. Già un legislatore che assume le sue decisioni in ragione dell’emotività popolare è un legislatore populista e pericoloso, ma pensare ora di affidare la legislazione penale direttamente alla piazza è da Far West. Non so come sia venuto in mente, a quali parametri culturali possa appartenere una cosa del genere”. Non nasconde il suo sconcerto il presidente dell’Unione delle camere penali italiane (Ucpi), Gian Domenico Caiazza, di fronte alla proposta avanzata da Movimento 5 stelle e Lega di introdurre i referendum propositivi anche in materia penale. “Proprio la materia – spiega Caiazza al Foglio – che per sua natura dovrebbe essere sottratta a un giudizio popolare, perché esige valutazioni di tipo tecnico e di compatibilità col quadro costituzionale”.

 

Eppure è questa l’idea inquietante inserita all’interno della proposta di legge costituzionale sul referendum propositivo, targata M5s-Lega, ora in discussione alla Camera. Nei giorni scorsi, la maggioranza di governo ha bocciato gli emendamenti delle opposizioni che miravano a escludere la materia penale tra quelle su cui 500 mila cittadini potranno presentare proposte di legge poi da sottoporre a referendum. Se la riforma fosse approvata, i cittadini potrebbero legiferare in piena autonomia, previa ammissibilità della Corte costituzionale, sul diritto penale e processuale. “E’ proprio un’idea malsana – ribadisce il presidente dei penalisti – Le paure, le ansie e le esigenze di sicurezza, tutte naturali e comprensibili nell’essere umano, non possono essere poste alla base della scelta legislativa. Il cittadino comune, per sua stessa predisposizione emotiva, tenderà sempre a punire. Non esistono pulsioni di tipo diverso”.

 

In fondo a confermarlo, se mai ce ne fosse stato bisogno, sono le ondate di protesta e di sdegno andate in scena direttamente nelle aule di tribunale nelle ultime settimane, con tanto di insulti e minacce a giudici e imputati. Prima la sentenza sul bus precipitato nel 2013 da un viadotto ad Avellino (che ha escluso dagli otto imputati condannati l’ad di Autostrade, Giovanni Castellucci), poi la sentenza di appello sull’omicidio di Marco Vannini (con l’alleggerimento della condanna nei confronti di Antonio Ciontoli, in virtù di una derubricazione del reato a lui contestato), infine la vicenda della strage di Viareggio, dove, in attesa della sentenza di appello, l’ex ad di Ferrovie dello stato, Mauro Moretti, si è dichiarato innocente scatenando la rabbia dei familiari delle vittime e dell’opinione pubblica in generale. “Tutto ciò – nota Caiazza – non fa che confermare il motivo per il quale non è pensabile affidare la materia penale alla volontà popolare. Ormai l’idea è che chi è imputato sia un colpevole, e che quindi l’esito naturale del processo debba essere la condanna. L’ipotesi che l’esito possa essere un’assoluzione è vissuta nell’immaginario collettivo come un fallimento della giustizia, come un atto di giustizia che non è stato compiuto: perché è stato impedito, per la straordinaria attività dell’avvocato, per la viltà del giudice o per insufficienza delle leggi. Siamo al processo di piazza, all’imputato simbolico”.

 

Non è la prima volta che si assiste a questi episodi di rabbia collettiva attorno alle vicende giudiziarie, ma colpisce l’escalation degli ultimi mesi, che sembra riflettere il comportamento tenuto dal nuovo governo su questi temi (dalla ricerca del capro espiatorio per il crollo del Ponte Morandi alla gogna-show messa in piedi con il ritorno in Italia di Cesare Battisti). “Queste reazioni sono state sdoganate, legittimate e valorizzate”, afferma Caiazza riferendosi agli atteggiamenti dei due partiti di maggioranza: “La legislazione penale negli ultimi vent’anni ha sempre risposto a pulsioni populiste. Ma la differenza è che se prima si tendeva a negare la matrice populista dell’attività legislativa, oggi essa viene rivendicata come obiettivo della politica in materia di giustizia”.

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