Massimo Mattei (foto Facebook)

“Avessi ceduto, avrebbero fatto bingo”. Mattei racconta il Grande Cinema Consip

Annalisa Chirico

L'ex assessore fiorentino, uno degli amici più stretti di Renzi, nel marzo del 2017 venne ascoltato come testimone dal pm Woodcock. Presente anche Scafarto: “Mi fu chiaro da subito che qualcuno mirava a incastrare Saltalamacchia e Tiziano Renzi”

“Se avessi ceduto, avrebbero fatto bingo. Chiunque altro si sarebbe abbandonato a ogni genere di ammissione pur di uscire da quella stanza”. Massimo Mattei è un omaccione corpulento, un metro e novanta di altezza, imprenditore a capo di una cooperativa, con 650 dipendenti, specializzata nell’assistenza agli anziani. Fiorentino doc, con una moglie e una figlia che compare con lui nella foto profilo su WhatsApp, incidentalmente Mattei è pure uno degli amici più stretti di Matteo Renzi che nel 2009, da sindaco di Firenze, lo chiama nella “giunta dei quarantenni” come assessore con deleghe a mobilità, manutenzione e decoro.

 

Quando il Grande Cinema Consip prende l’avvio, i carabinieri del Noe, con Gianpaolo Scafarto in testa, piazzano una cascata di microspie nella magione dei genitori dell’ex premier a Rignano sull’Arno. Gli inquirenti si appostano per giorni tra gli arbusti della boscaglia, in frazione Torri, per origliare le conversazioni all’interno dell’immobile. Alla fine, l’imponente macchina inquisitoria partorisce un solo elemento ritenuto degno di rilevanza investigativa: la “braciata” chez Tiziano. Secondo gli inquirenti, nel corso del barbecue in giardino, mentre le bistecche sfrigolano sui carboni ardenti, il generale Emanuele Saltalamacchia, all’epoca comandante della Legione Toscana dei carabinieri, rivolgerebbe un consiglio a babbo Renzi: “Non parlare con Alfredo Romeo”. Da qui l’accusa di rivelazione del segreto nei confronti di Saltalamacchia (e, per altre vie, dell’ex comandante generale dell’Arma Tullio del Sette e del ministro Luca Lotti).

 

“Ricordo bene l’occasione”, racconta Mattei, che nel marzo 2017 viene ascoltato dai pm Henry J. Woodcock e Mario Palazzi in qualità di testimone (e dunque in assenza di un avvocato). “C’eravamo io e Saltalamacchia con le rispettive consorti, il Lorenzini (sindaco di Rignano, ndr) e la sorella di Matteo, Matilde, con il marito. A precisa domanda dei magistrati, ho risposto che sì, si parlò di Consip. Di segreto c’era ben poco: il primo articolo sull’inchiesta era uscito il 6 novembre 2016, la cena si tenne intorno al 24 dello stesso mese”. Mattei non sbaglia: proprio in quella data il quotidiano La Verità pubblica per primo la notizia delle indagini napoletane sul padre dell’allora presidente del Consiglio. “La vicenda giudiziaria era di pubblico dominio – prosegue Mattei – Saltalamacchia non indugiò sulla questione né dispensò consigli, io non sentii nulla del genere”. Di certo nessuno dei commensali era al corrente delle cimici disseminate nell’abitazione. “Il pm Woodcock – prosegue Mattei - insisteva nel collocare la cena sul finire di ottobre confondendo evidentemente la grigliata con un altro banchetto, quello sì in ottobre, a casa di Saltalamacchia e della moglie Stefania”.

 

Durante il colloquio con Mattei, insieme ai pm Woodcock e Palazzi ci sono pure Scafarto e un ufficiale, forse della Guardia di finanza, non meglio identificato. “Un tipo à la Bud Spencer, mi stava alle spalle e m’intimava: Parla, se non parli ti facciamo il c… Una persona meno temprata di me sarebbe crollata. Nelle quasi quattr’ore di colloquio le garanzie democratiche furono letteralmente sospese”. Usa parole grosse, Mattei. “Sono in corso approfondimenti sulle modalità di quell’incontro, spero che si faccia luce. Mi fu chiaro da subito che qualcuno mirava a incastrare Saltalamacchia e Tiziano Renzi. Il capitano Scafarto percorreva la stanza avanti e indietro come un esagitato. Si assentò per qualche minuto, poi rientrò con un plico di ritagli stampa su una vecchia vicenda giudiziaria”. È il “caso escort”, un’indagine della procura di Firenze risalente al 2013 che lambisce l’allora assessore Mattei persuadendolo alle dimissioni. Alla fine la sua posizione viene archiviata, zero addebiti. “Quando il carabiniere mostrò quegli articoli, rimasi allibito: non avevano alcun nesso con l’oggetto del colloquio. Un tale comportamento da parte di un pubblico ufficiale aveva un che d’intimidatorio. Scafarto mi rivolse domande sulle mie abitudini sessuali. Woodcock insisteva sul perché mi ostinassi a difendere un mondo che mi aveva abbandonato. Io non avevo nulla da nascondere”.

 

Lo scorso dicembre Mattei viene ascoltato dalla procura capitolina, sempre per la famigerata grigliata. “Insieme ai magistrati Ielo e a Palazzi, c’era pure il procuratore capo Pignatone. Ho risposto a domande circostanziate chiarendo l’equivoco delle date. I pm sono stati inappuntabili, ho avuto quasi la sensazione che intendessero rimediare a una vicenda traumatica e disonorevole mostrandomi il volto di una giustizia rispettosa delle regole”. E dire che proprio il colloquio con una persona sentita da testimone e non da indagato è tra i capi d’incolpazione a carico del pm Woodcock dinanzi alla sezione disciplinare del Csm. Negli scorsi giorni, dopo l’archiviazione lampo nel penale, il pm partenopeo ha incassato dalla procura generale della Cassazione la chiusura dei sei fascicoli disciplinari legati a Cpl Concordia e Consip. Le pre-istruttorie riguardanti, per esempio, la mancata iscrizione nel registro degli indagati, a Napoli, di Tiziano Renzi e le reiterate fughe di notizie che hanno coinvolto i giornalisti Marco Lillo e Federica Sciarelli, finiscono su un binario morto. Resta in piedi il procedimento a Palazzo de’ Marescialli dove Woodcock è sotto la lente d’ingrandimento per l’intervista rilasciata a Repubblica sul Consipgate e per la mancata iscrizione nel registro degli indagati dell’allora consigliere di Palazzo Chigi Filippo Vannoni. Sul primo capo d’imputazione è arrivato l’affondo dell’ex procuratore facente funzioni di Napoli Nunzio Fragliasso: “Quelle dichiarazioni non dovevano essere rese, né prima né dopo che io avevo chiesto il riserbo. Erano inopportune, benzina sul fuoco”. Sul secondo punto, l’ex consigliere Vannoni ha denunciato i metodi bruschi degli inquirenti: a suo dire, Woodcock gli avrebbe indicato dalla finestra il carcere di Poggioreale chiedendogli “se volesse farvi una vacanza”; poi gli avrebbe mostrato un groviglio di fili spacciandoli per microspie e avrebbe lasciato che ufficiali e agenti di polizia, incluso Scafarto, lo tempestassero di domande. “E’ capitato anche a me”, commenta Mattei. Coincidenze.