Gherardo Colombo (foto LaPresse)

Sorpresa, un Comitato per la legalità che non straparla

Fabio Massa

La prima relazione dell’organismo guidato da Gherardo Colombo. Buon segnale, no cantonate

Non sarà degna di entrare nel “De magnalibus Mediolani”, ma la “Prima relazione annuale” del Comitato per la legalità, la trasparenza e l’efficienza amministrativa, presieduto da Gherardo Colombo, ha una sua importanza quasi pedagogica: non solo per gli argomenti trattati, ma soprattutto per il tono adottato nell’esposizione. Il che, in epoca di cantonismo politico e mediatico dominante – e di qualche cantonata di troppo nelle pratiche anti corruzione – male non è. Generalmente le relazioni di comitati, autorità, organismi vari a cui si associno (un po’ arditamente, a dirla tutta) le parole trasparenza, legalità ed efficienza, finiscono per diventare pietre dello scandalo, se non armi politiche. Elaborate con sufficiente dovizia di particolari da risultare urticanti, ma con la concisione necessaria per non farsi stringere in spiegazioni sul merito, le relazioni divengono spesso editti, ripresi a fotocopia dai media, per essere usati come clava contro amministrazioni, spesso anche quelle “amiche”, ovvero quelle che hanno nominato detti organismi-panacea. In ogni relazione ci sono vittime sacrificali, nomine sulle quali l’autorità giudiziaria non ha mai neppure ipotizzato l’apertura un fascicolo, e che tuttavia vengono messe in alla graticola, salvo poi risultare perfettamente legittime.

 

Invece, questa volta, Gherardo Colombo e il validissimo Federico D’Andrea, insieme a Maria Teresa Brassiolo, nominati nel luglio 2016 dal sindaco Beppe Sala, hanno fatto un lavoro misurato e paziente. Obiettivo e didascalico, senza eccessi. Venendo al punto: che cosa hanno fatto Colombo e compagni? Dapprima hanno messo in ordine, senza alcuna sbavatura, le 24 questioni trattate, con tanto di audizioni e incontri convocati dal Comitato. Sulla vicenda giudiziaria che coinvolge il sindaco per il pregresso ruolo in Expo, nessuna concessione al sensazionalismo: in due righe il comitato ribadisce quanto affermato a luglio. Stop. Poi, nella seconda parte, vengono trattate le “questioni di particolare rilievo”. E via ad esporre sobriamente la vicenda ANAC/M4, completamente tecnica. Poi, sulla riorganizzazione del comune, si scrive che sono stati chiesti “chiarimenti in merito ad alcuni aspetti della riorganizzazione; tali aspetti sono stati sottoposti all’attenzione del sindaco, sottolineando come vi fosse, talvolta, scarsa chiarezza nello sviluppo logico e giuridico della procedura in oggetto”. Niente nomi da dare in pasto. Solo richiesta di chiarimenti sulle assunzioni. Unico inchino non necessario alle legislazioni-pastoia videnti nelle pubbliche amministrazioni, il richiamo sull’opportunità di “fare prioritariamente ricorso alle professionalità esistenti all’interno dell’Amministrazione“. Concetto anti manageriale, che cozza contro l’evidenza delle buone pratiche e contro Einstein: “Non si può risolvere un problema usando la stessa mentalità che lo ha creato”. Altro tema, il patrimonio immobiliare del comune di Milano: sembra incredibile ma “sono risultate molto carenti le informazioni sullo stato di fatto e sull’utilizzo degli immobili”. Tuttavia il Comitato non si lancia in denunce sterili: sottolinea come l’Amministrazione voglia costituire in tempi brevi “un archivio informatico unico”. Poi c’è il suggerimento al sindaco di adottare una sorta di “statuto della Galleria” per regolare l’assegnazione degli immobili in Vittorio Emanuele. Infine, le parti più scottanti: l’attività di internal audit del comune e il ruolo di indagine ed esecuzione delle misure cautelari nei confronti dei dipendenti.

 

Sugli audit il comune ha sottolineato la volontà di agire preventivamente contro la corruzione, anche se “devono ancora essere definite le concrete modalità con cui realizzare il collegamento tra le attività della nuova Direzione e quelle del Responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza”. E sui vigili, il Comitato – ovviamente – punta il dito sulla prassi di far svolgere alla Polizia Locale gli accertamenti “quando si ipotizzi la commissione da parte di dipendenti comunali di reati legati all’esercizio della funzione”. Analizzati tutti questi punti, il Colombo e i suoi hanno di fatto evidenziato alcuni “deficit documentali”, “lacune sulle modalità” e “criticità sotto il profilo della legalità” (per quanto riguarda la questione della Polizia locale). Ma sono le conclusioni a impressionare per la misura: “La strada della trasparenza amministrativa merita sempre di essere sempre percorsa: da questo punto di vista la riorganizzazione del comune ha presentato lacune ancora oggi non colmate”. E ancora: “Sull’efficienza amministrativa molto si può e si deve fare con riferimento ai tempi di risposta alle istanze dei cittadini”. E infine: “Talvolta la circostanza di aver conosciuto solo a posteriori atti che riguardano la competenza attribuita al Comitato ha reso impossibile l’esercizio di un controllo preventivo”. Affermazioni politiche, queste? Niente affatto. Molto tecniche, invece. Strutturali, quasi: e infatti sono rivolte prima di tutto alla struttura dirigenziale, che conta moltissimo ma alla quale in pochi addebitano responsabilità che finiscono – molto spesso – solo sui politici. Sono spunti di lavoro su cui operare. Per cogliere le differenze, c’è la relazione dell’Arac, l’ Agenzia anti corruzione regionale, un doppione anche ideologico dell’Anac di Raffaele Cantone di circa un anno fa.

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