Il sindaco di Norcia, Nicola Alemanno, tra le macerie post terremoto (foto LaPresse)

Cercasi regista per raccontare le indagini a Norcia e le pazzie post terremoto

Claudio Cerasa

Il dramma di un’Italia che considera legale solo l’immobilismo

Se ci fosse un bravo regista cinematografico desideroso di raccontare i problemi italiani uscendo fuori dalla logica sterile dell’allarmismo ed entrando nella logica fertile del pragmatismo bisognerebbe accompagnarlo velocemente in una splendida cittadina umbra che in piccolo sta sperimentando quello che ogni giorno l’Italia sperimenta in grande: la trasformazione dell’immobilismo nell’unica forma di legalità consentita nei momenti in cui un paese si trova in emergenza. Il paese avete capito tutti qual è, Norcia, e la storia, incredibile, riguarda un sindaco di centrodestra, Nicola Alemanno, che tre giorni fa è stato raggiunto da un avviso di garanzia per aver autorizzato, “con procedure di emergenza post sisma”, la realizzazione di un centro polifunzionale della Pro loco in una frazione della città (Ancarano).

 

Il primo agosto del 2017 il sindaco (centrodestra) ha autorizzato la realizzazione della struttura utilizzando gli strumenti messi a disposizione dalle procedure emanate dalla Protezione civile per lo stato d’emergenza. Lo ha fatto per mettere a disposizione della città delle strutture capaci di accogliere degli sfollati e creare punti di ritrovo da utilizzare in caso di altre emergenze. Ma come ha spiegato ieri il procuratore capo di Spoleto, Alessandro Cannevale, “alla luce dell’attuale quadro normativo la costruzione del centro polivalente è a nostro avviso un illecito, sia perché ha finalità socio ricreative e sportive, che non sono previste in ordinanza, sia perché le modalità tecniche di costruzione seguite sono incompatibili con un’opera temporanea”. Ricapitoliamo. Il sindaco di un paese che si trova in una zona terremotata che ha subito oltre 70.000 scosse sismiche negli ultimi mesi trova soldi privati per costruire uno spazio in cui accogliere sfollati. Dopo di che il sindaco viene indagato. Se ci fosse un bravo regista desideroso di raccontare i problemi italiani uscendo fuori dalla logica sterile dell’allarmismo non avrebbe grandi difficoltà ad appuntare sul suo taccuino alcune lezioni che ci consegna la storia di Norcia. La prima lezione è culturale e ci dice che il sistema burocratico italiano ha una sua naturale e drammatica propensione a considerare l’immobilismo come una pratica ordinaria e a considerare la velocità come una pratica legata solo all’emergenza. Il governatore della regione Umbria, Catiuscia Marini (centrosinistra), ha ricordato ieri in un’intervista al Foglio online che se “anziché usare le deroghe il sindaco di Norcia avesse utilizzato la procedura ordinaria queste strutture sarebbero state consegnate in 2-3 anni e non in 8-9 mesi”. Chiaro? Chiaro. La seconda lezione che ci consegna la storia di Norcia riguarda un dramma quotidiano con cui devono fare i conti molti amministratori locali: di fronte a una legge che si può applicare in modo estensivo, la magistratura tende a punire chi non applica quella legge in modo restrittivo; e di fronte a una magistratura che tende a punire chi applica una legge in modo non restrittivo, un’amministrazione locale tenderà inevitabilmente a considerare l’immobilismo come l’unica forma possibile di legalità consentita. L’ordinario è l’immobilismo, la velocità è solo emergenza. La terza lezione di Norcia ci permette di risalire invece a quello che è forse il peccato originale che ha portato il nostro sistema burocratico a trasformare la velocità in un’eccezione. La rivoluzione della Protezione civile conseguente all’assalto giudiziario portato avanti contro Guido Bertolaso ha contribuito a trasformare la deroga all’ordinario in un’eccezione e la gestione del terremoto dell’Italia centrale da questo punto di vista è stata un piccolo trionfo di burocrazia.

 

A differenza della ricostruzione dell’Aquila, per il sisma che ha coinvolto l’Italia centrale, come ha ricordato per tempo sul Foglio il nostro Stefano Cianciotta, si è deciso di procedere con le gare e non con le assegnazioni dirette, con un incontrollabile allungamento dei tempi, mentre sulla legittimità dei procedimenti è stato regolarmente vincolante il parere dell’Anac e anche le Sovrintendenze hanno avuto voce in capitolo. Tutto questo per dire cosa? Per dire che se ci fosse un bravo regista che avesse voglia di raccontare in presa diretta i veri drammi dell’Italia prima di perdere ancora tempo a sceneggiare la crisi economica dovrebbe perdere del tempo a portare al grande pubblico il vero dramma dell’Italia: il cortocircuito generato dalle burocrazie che tengono in ostaggio un paese anche quando il paese prova semplicemente a tirarsi dopo essere stato sepolto dalle macerie. Forza, chi lo gira il primo ciak?

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.