Il golpe Scafarto e il silenzio di tutti quanti

Giuliano Ferrara

Un top gun dei carabinieri si faceva aiutare via Whatsapp da un giornalino scandalistico per colpire con mezzi illegali il presidente del Consiglio e i suoi. Dovrebbe essere una notizia, la democrazia insidiata da chi dovrebbe proteggerla

Valutiamo chi sia simpatico e chi no, ci trastulliamo con il garantismo di quelli del Fatto a proposito della Raggi, facciamo gargarismi antifascisti e anti-antifascisti, ci sballiamo di numeri a casaccio in economia e finanza e fisco, confondiamo la famiglia De Luca con la famiglia Cutolo per effetto di una provocazione camorristica risibile che si ha l’ardire di definire giornalistica, ma in questa campagna elettorale mettiamo tre colonne in cronaca la notizia che un top gun dei carabinieri, Gianpaolo Scafarto, è sempre più impaludato in una indagine del capo dei magistrati di Roma e dei sostituti al cui centro sta il suo tentativo, con evidenti complicità di sistema nell’Arma e nella struttura giudiziaria di riferimento, di colpire e affondare con mezzi spregevoli e naturalmente illegali il presidente del Consiglio e i suoi ministri (Renzi & C.).

 

Le ultime recano non già il sospetto ma la prova whatsapp, che ormai è la regina delle prove, la pistola fumante. Gli scafartiani non erano solo una lobby giudiziario-mediatico-militare che ha fatto ricorso a ogni mezzo per correggere in modo fraudolento verbali di interrogatorio, costruendo una inchiesta sugli appalti pubblici in modo da incolpare presidenti ministri familiari e privati di reati di corruzione, hanno anche usato un giornalino scandalistico di pronto servizio per imputare al governo e a suoi ministri le rivelazioni del segreto investigativo di cui la lobby era direttamente responsabile attraverso il suo braccio armato, e con l’esplicito intento di scardinare il vertice dell’Arma dei carabinieri e del governo.

 

Dovrebbe essere una notizia di quelle che non si lasciano opacizzare, annebbiare, emarginare dal centro dell’informazione politica. E’ questa una specie di mediocre ma intimidente replica del Watergate o del Piano Solo, la convergenza di inquirenti e carabinieri nell’ossessivo tentativo di far fuori i poteri elettivi designati dal Parlamento con mezzi coercitivi e giudiziari abusivi, imbracciando come un fucile a pallettoni la falsificazione, la denigrazione pubblica da parte dei soliti noti del moralismo straccione. E’ vero che l’abitudine al rutto giustizialista ormai apparenta tutto a tutto in una girandola di fregnacce e cose serie, fino al permesso di circolazione fiorentino della signora Agnese Landini in Renzi; ma la vicenda di Scafarto, del suo distaccamento militare di polizia giudiziaria, dei suoi pm di consorzio è una cosa seria, non il pettegolezzo a nove colonne su un permesso di circolazione sancito in via ordinaria dalle norme amministrative spacciato per privilegio. (Il privilegio, già, l’arma di demolizione con cui si cerca da anni di spargere il sale sulle rovine della Repubblica castale, salvo poi lamentarsi dell’accanimento persecutorio e gladiatorio in corso).

 

In un qualsiasi altro paese la sola idea di un alto ufficiale dei carabinieri preso con le mani nel sacco nell’esercizio sovversivo più classico, nel tentativo di abbattere un governo con i mezzi spicci della frode e della gogna pubblica indotta, questa sola idea farebbe rabbrividire autorità istituzionali di garanzia, direttori di giornale e telegiornale, editorialisti di grido, coscienze nazionali in servizio permanente effettivo quando si tratta di discutere le tesi di Di Battista o di Di Maio sulla democrazia. Invece andiamo verso il voto del 4 marzo senza praticamente tenere in conto l’essenziale e cioè un grado elevato di corruzione politica degli strumenti di giustizia che la democrazia dovrebbero proteggere, non insidiare pericolosamente con la collaborazione attiva di moralizzatori da moralizzare in fretta.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.