Foto LaPresse

I magistrati indagati a Salerno e lo strano silenzio del circo mediatico

Ermes Antonucci

Si sta estendendo in maniera preoccupante l’inchiesta per corruzione in atti giudiziari che vede coinvolto il giudice Mario Pagano

Roma. Nella quasi indifferenza generale degli organi di informazione, si sta estendendo in maniera preoccupante l’inchiesta per corruzione in atti giudiziari che vede coinvolto il giudice Mario Pagano, per anni in servizio presso la seconda sezione civile del tribunale di Salerno e attualmente in servizio al tribunale di Reggio Calabria. Lunedì scorso Pagano è stato posto agli arresti domiciliari al termine di indagini disposte e coordinate dalla procura di Napoli, con l’accusa di aver favorito alcuni imprenditori nelle cause civili, ricevendo in cambio denaro e regali.

 

Secondo l’accusa, Pagano avrebbe “omesso di astenersi” dalle cause in questione “nonostante lo specifico obbligo imposto dalla legge e, prima ancora, adoperandosi perché tali cause venissero assegnate a lui”. In cambio di sentenze favorevoli, Pagano avrebbe ricevuto denaro a beneficio di una società di cui era responsabile, ma anche cucine e impianti di climatizzazione per un agriturismo a lui riferibile. In conseguenza dell’emergere della vicenda, il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, ha promosso un’azione disciplinare nei confronti della toga e contestualmente ha firmato la richiesta alla Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura di sospenderlo dalle funzioni e dallo stipendio.

 

La notizia delle ultime ore è che altre due toghe risultano ora iscritte nel registro degli indagati: si tratta del pm Roberto Lenza, in servizio a Nocera Inferiore (a cui viene contestata la rivelazione di segreto d’ufficio) e del giudice Maria Elena Del Forno, del tribunale civile di Salerno (indagato per abuso d’ufficio e rivelazione di segreto). In particolare, secondo l’accusa, Lenza avrebbe rivelato a Pagano notizie su procedimenti penali avviati nei confronti di un imprenditore ritenuto sovvenzionatore della società controllata dal giudice.

 

Non è tutto: negli atti dell’inchiesta condotta dalla procura di Napoli compaiono messaggi ed e-mail scambiati dal magistrato con numerosi colleghi, dai giudici onorari di tribunale fino a un giudice di Cassazione e a un sostituto procuratore generale di Cassazione.

 

Per ora, ad esempio, non risultano indagati, ma vengono spesso citati negli atti, il magistrato Michele Oricchio, presidente della Commissione tributaria di Salerno poi nominato procuratore regionale della Corte dei Conti, e Nicola De Marco, presidente della seconda sezione civile del tribunale di Salerno.

 

Il quadro che emerge, insomma, è piuttosto preoccupante e sta coinvolgendo in maniera crescente una larga fetta della magistratura salernitana. Pensate, ora, cosa sarebbe accaduto se a essere accusati di corruzione fossero stati, tutti insieme, quattro o cinque rappresentanti delle istituzioni politiche locali: un sindaco di un capoluogo di provincia, un assessore comunale, un consigliere regionale. La storia ci insegna che la vicenda avrebbe guadagnato le prime pagine dei giornali e l’attenzione giustizialista degli organi di informazione, che non avrebbero esitato a sputtanare le persone coinvolte nonostante le loro condotte siano ancora da accertare sul piano giudiziario, con le ovvie ripercussioni distruttive della gogna sulle loro vite professionali, familiari e personali. Gli esponenti di alcuni partiti (Movimento 5 stelle in primis) avrebbero probabilmente invocato le manette e la “piazza pulita” in politica e l’ex presidente dell’Associazione nazionale magistrati Piercamillo Davigo, oggi presidente di Cassazione, avrebbe rilasciato interviste in pompa magna per denunciare il “sistema della corruzione” e i “politici che rubano” peggio dei tempi di Mani pulite.

 

Nel caso dell’inchiesta sulla magistratura salernitana, invece, la stampa (e di conseguenza l’opinione pubblica) sembra aver adottato un insolito approccio garantista, trattando le notizie con timidezza e scarso interesse. Ciò, come dicevamo, è un bene, perché nessuna persona in un paese civile dovrebbe finire nel tritacarne mediatico-giudiziario, essendo – come recita la nostra Costituzione, spesso dimenticata – innocente fino a sentenza definitiva.

 

Tuttavia, la cautela finora mostrata dal sistema dell’informazione verso la vicenda di Salerno è fortemente indicativa di due cose. Primo: che la stampa ha ormai incorporato al suo interno un violento approccio anti-casta che viene manifestato soprattutto nei confronti della classe politica rispetto agli altri apparati istituzionali. Secondo: che, se solo si vuole, la gogna può essere evitata.