Il new deal del procuratore Melillo a Napoli: "Prendere le distanze dal circo mediatico"

Spunti garantisti alla presentazione di "Fino a prova contraria"

Napoli, Palazzo di giustizia. Per la prima tappa del book tour di “Fino a prova contraria. Tra gogna e impunità l’Italia della giustizia sommaria” (Marsilio), Annalisa Chirico sceglie Napoli, il luogo simbolo del caso Tortora e non solo. Attorno al tavolo ci sono il procuratore capo Giovanni Melillo, il presidente della Campania Vincenzo De Luca, il consigliere togato del Csm Claudio Galoppi e l’avvocato Domenico Ciruzzi. La platea pullula di avvocati, si fa notare la presenza del pm Henry J. Woodcock che, a dispetto dei burrascosi trascorsi giudiziari con l’autrice, compulsa una copia autografata del libro. Occhi sono puntati sul dottor Melillo che dallo scorso agosto si è insediato alla guida di una procura ingombrante, caotica, esposta.

 

“Per prima cosa – esordisce il procuratore della Repubblica – ‘Fino a prova contraria’ è un libro che costringe a riflettere, anche quando non si è d’accordo. La lezione che se ne trae è la necessità di ascoltare segnatamente le voci critiche sul senso di sé che ciascuno di noi ha”. Il pamphlet, tra ossimori e paradossi della giustizia italiana, ruota attorno al primo dei problemi, la durata irragionevole dei processi. “Ne deriva il rischio perdurante dell’enfatizzazione delle indagini – afferma Melillo – reso ancora più pernicioso dal rapporto tra indagini e tecnologie. Oggigiorno il pericolo di trascinamento della vita delle persone in quella che l’autrice chiama gogna mediatica è più elevato”. A sentire il procuratore, le intercettazioni però non sono troppe: “I numeri della procura di Napoli dimostrano che siamo in presenza di un numero limitato di captazioni la cui dimensione invasiva è determinata dal rilievo assunto dalle tecnologie nelle nostre relazioni personali. Il decreto legislativo all’esame delle Camere, a giudizio mio e di altri procuratori, fornisce risposte insoddisfacenti perché sottovaluta la necessità di regolare l’impiego delle tecnologie. Oggi le imprese private giocano un ruolo decisivo nella gestione dei dati personali, servono politiche pubbliche di controllo”. Nel libro Chirico pone l’accento sulla certezza della pena. “A detta dell’autrice – prosegue Melillo - l’insistenza su una pena effettivamente eseguita non è intransigenza punitiva ma è l’essenza dello stato di diritto. Credo che questa sia la sfida comune a magistratura, avvocatura e mezzi di comunicazione, vale a dire la necessità di costruire una cultura legalitaria che superi la contrapposizione tra garantismo e giustizialismo. Essa significa osservanza della legge e tutela dei diritti fondamentali. La tradizione illuministica ci ricorda che la giurisdizione è un potere odioso, chiamato a incidere ogni giorno sulla vita e sul patrimonio delle persone. La legittimazione democratica della giurisdizione si conquista sul terreno della scrupolosa osservanza delle regole nell’attività quotidiana. Vale anche per la magistratura e, in particolare, per quella inquirente”. A proposito del circo mediatico-giudiziario che in più occasioni ha fatto finire la procura partenopea sulle prime pagine dei giornali, Melillo è tranchant: “Nella mia vita di magistrato ho sempre avuto una ridotta pratica di relazioni mediatiche. Non ho mai fatto conferenze stampa né comunicati se non per correggere informazioni distorte. Dobbiamo prendere le distanze da un’esigenza, finora avvertita da molti, di autorappresentazione celebrativa del lavoro del pm. Il mio ufficio non avverte questa esigenza, perciò non leggerete più comunicati in cui si annuncia di aver sgominato, disarticolato, neutralizzato, accertato… ”.

 

Il presidente De Luca, nel suo intervento sulla “stanchezza della democrazia”, colpevole di aver derubricato la libertà a valore secondario, è amaro: “Se dovessi cominciare oggi la mia attività politica, non lo farei neppure sotto tortura. E’ diventato difficile trovare una persona perbene disponibile a intraprendere un impegno di natura politica”, dice. “C’è una progressiva e totale delegittimazione del ceto politico al cui confronto risulta più screditato soltanto il ceto sindacale. Quando avremo portato al massimo questa delegittimazione, chi metteremo a guidare il paese, il pilota automatico?”. Il governatore si sofferma sui rischi ai quali gli amministratori sono esposti, anche a causa di nuove fattispecie di reato, come il traffico di influenze; ricorda la vicenda della “frittura di pesce” che ha dato luogo ad un’interrogazione parlamentare (ad opera di un deputato grillino) e poi, “in virtù dell’obbligatorietà dell’azione penale”, all’apertura di un fascicolo per voto di scambio, poi archiviato. “Nella irragionevole durata del processo – evidenzia il procuratore Melillo – è trascinata anche la condizione del condannato. E’ evidente che una pena eseguita a distanza di anni dalla commissione del fatto spesso colpisce una persona completamente diversa”. Sulla questione carceraria, Melillo annuncia la volontà di “istituire un gruppo di lavoro che si occupi specificamente dei reati commessi nell’ambiente penitenziario. Intendiamo assicurare una considerazione prioritaria alla sorte di persone la cui vita, dignità e incolumità sono affidate allo stato”.

 

Il caso Consip, di cui pure il saggio di Chirico si occupa, è l’Innominato, il presidente De Luca invece accenna a Tempa rossa, altra vicenda ripercorsa nel libro: “Da uomo ho provato vergogna per il massacro di una donna (l’allora ministro Federica Guidi, ndr), costretta ad uscire dalla vita politica a fronte di un’inchiesta che ha partorito il nulla”.

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