Perché una democrazia dei creduloni finisce ostaggio della repubblica giudiziaria

Annalisa Chirico

“Se una volta il giudice era considerato la bocca della legge, oggi viviamo un tempo in cui la bocca del giudice sembra essere diventata essa stessa la legge”, dichiara Domenico Airoma

Roma. Lo scorso venerdì, nelle stesse ore in cui il presidente dell’Anm Eugenio Albamonte apre il congresso senese con un appello alla politica affinché regolamenti i cosiddetti “nuovi diritti”, il Centro studi Livatino tiene un convegno, a pochi passi dalla Camera, dal titolo “Giudici senza limiti?”. Albamonte considera la supplenza togata inevitabile conseguenza della paralisi legislativa: “Le domande di giustizia ci sono e il giudice non può non rispondere”. Fine vita, nuove famiglie, droghe leggere, ius soli: si moltiplicano le zone grigie in cui il legem dicere non sembra più prerogativa appannaggio di organi democraticamente legittimati.

 

“Se una volta il giudice era considerato la bocca della legge, oggi viviamo un tempo in cui la bocca del giudice sembra essere diventata essa stessa la legge”, dichiara Domenico Airoma, vicepresidente del think tank ispirato alla parabola del “giudice santo”, Livatino, assassinato in un agguato mafioso nel 1990.

 

Secondo il giurista statunitense Robert Bork, i giudici, approfittando del ruolo interpretativo, si trasformano in “attivisti con lo scopo di creare libertà e diritti nuovi e senza fondamento, aggirando l’autorità democratica”. E’ la vittoria della “giuristocrazia”. C’è la polemica con il diritto mite, versione giuridica del pensiero debole; c’è il patologico gigantismo della giurisdizione ammantato di aspettative etiche ed extragiudiziarie (il magistrato come “sensore sociale”, copyright Zagrebelsky). Ma c’è soprattutto l’influenza crescente delle corti sovranazionali che tendono a costituire un “sistema multilivello integrato di diritti”, fondato sulla centralità della Corte di Strasburgo in quanto suprema interprete della Convenzione europea dei diritti umani.

 

Al fondo dei “nuovi diritti” si scorge il principio di autodeterminazione inteso come libertà senza limiti, l’idea che a ogni desiderio corrisponda un diritto da codificare, con il risultato di creare conflittualità e nuovi soggetti deboli. “Esiste un limite oltre il quale non si può andare’, insiste Airoma. Tra gli ospiti, interviene Francisco Javier Borrego Borego, già giudice della Corte di Strasburgo, brillante contestatore della cosiddetta ‘interpretazione dinamica”, ultima frontiera dell’attivismo togato: “I giudici progressisti accusano gli altri di essere statici, così pretendono di stiracchiare le norme e inventarne di sana pianta”. Non manca la critica al politicamente corretto in voga tra le toghe: “A Strasburgo – racconta Borrego Borego – hanno abolito le formule di genere, Madame e Monsieur, nel contempo insistono per arruolare più giudici donne. Ma, domando, se volete rendere il tribunale un luogo asessuato, perché siete così ossessionati dalla presenza femminile?”.

 

Per Anthony Borg Barthet, giudice della Corte di giustizia dell’Unione europea, “l’interpretazione deve essere improntata al pragmatismo. Esistono giudici che, incapaci di tenere a freno il proprio ego, non si limitano a regolare il singolo caso ma ambiscono a rendere il mondo un posto migliore da abitare”. Per Antonio Mura, sostituto procuratore generale in Cassazione, “lo scenario europeo è costellato da luci e ombre. Sul fronte della ragionevole durata dei processi o del sovraffollamento carcerario, la legislazione europea ha esercitato un’influenza benefica. La figura del nuovo procuratore europeo invece appare depotenziata per la scarsa incisività dei poteri attribuiti. L’Italia è stata l’unica voce critica in Europa, adesso anche la Francia, e non solo, condivide la nostra posizione”. Di enorme impatto è la testimonianza di Luis Alberto Petit Guerra, giudice del Venezuela, il quale sfata l’ennesima ipocrisia sul regime bolivariano di Maduro: “Dal 2003 i concorsi pubblici per la selezione dei giudici sono sospesi. Di fatto, nel nostro paese il principio del giudice naturale precostitutito dalla legge non viene più rispettato. Assistiamo a un chiaro processo di distruzione dell’indipendenza giudiziaria. Nella maggior parte dei casi siamo in presenza di giudici snaturalizzati, nel senso che non sono stati designati nella forma prevista dalla Costituzione, non godono di vera indipendenza né di autonomia. Sono giudici perché godono dei favori del potere politico e vengono usati come pezzi di un triste puzzle”. Una deriva autoritaria che passa per la neutralizzazione dell’ordine giudiziario. “Quella venezuelana è una sopraffazione mediaticamente e istituzionalmente ignorata – conclude Alfredo Mantovano, già senatore e vicepresidente del Centro studi – E’ singolare che, mentre sulla sorte dei magistrati turchi si sia levato una coro di indignazione, ciò è totalmente assente per il Venezuela. Quasi che il colore politico dei persecutori abbia un peso”.

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