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La parola ai giudici

Maurizio Crippa

Mattarella, la libertà d’espressione e i limiti che esistono, eccome. Questioni di regole e di cultura. No furbizie

Milano. La differenza tra un abito di scena, una toga da magistrato e una livrea da domestico dovrebbe essere evidente a chiunque, anche a coloro che ieri si sono affrettati a circoscrivere le parole del presidente della Repubblica, e del Csm, Sergio Mattarella: non parlava del dottore Davigo, il codice deontologico dell’Anm esiste già. Sono ovvie puntualizzazioni, che lasciano la vaga impressione di voler distogliere il dito dalla luna. La luna di un circo mediatico-giudiziario troppo a lungo rimasto fuori controllo, troppo sbilanciato in favore di una capacità di interdizione da parte di un potere dello stato sugli altri, l’esecutivo e il legislativo. Il richiamo di Mattarella puntava alla luna, non a togliere la libertà di parola ai cittadini magistrati, il che non sarebbe plausibile. Così come il suo vice al Csm Giovanni Legnini sabato scorso, così come il magistrato Claudio Galoppi intervistato dal Foglio qualche giorno prima. L’opposizione di lunga durata dei garantisti e dei liberali a quello strapotere non è mai stata volontà di zittire i magistrati, il cui diritto di espressione è sancito, come per tutti, dalla Costituzione. La questione sono le regole, che sono sempre una questione fluida: Ma non utilizzabile, tartufescamente, per nascondere la luna.

  

L’articolo 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo – riferimento ricorrente anche nelle decisioni disciplinari del Csm – recita che “ogni persona ha diritto alla libertà d’espressione”, ma al comma 2 specifica che “l’esercizio di queste libertà, poiché comporta doveri e responsabilità, può essere sottoposto alle formalità, condizioni, restrizioni o sanzioni che sono previste dalla legge e che costituiscono misure necessarie, in una società democratica” in una serie di ambiti specifici, tra i quali, last but not least, “garantire l’autorità e l’imparzialità del potere giudiziario”. Nulla quaestio, come dicono i giuristi, sul fatto che la libertà di espressione per i magistrati possa essere delimitata. Del resto l’articolo 98 della Costituzione prevede anche che “si possono con legge stabilire limitazioni al diritto d’iscriversi ai partiti politici per i magistrati”, fatti i dovuti distinguo tra un’intervista e un partito. Nel limbo interpretativo e normativo da attribuire a queste indicazioni si è sempre collocato il rapporto tra magistrati e politica, giudici e informazione. Un limbo che esiste quasi ovunque nelle democrazie, poiché in molti stati mancano norme precise. Tradizionalmente, però esiste un confine culturale ed è la “self-restraint”, citata anche dal presidente dell’Anm Eugenio Albamonte. Che è sempre stato inteso dalla magistratura anche come un bilanciamento della propria indipendenza. L’Italia, da molti anni, in alcuni casi – per quanto non maggioritari – la magistratura organizzata in correnti ha travalicato questo volontaria moderazione. L’ultimo caso eclatante, il dibattito dello scorso anno sul referendum costituzionale, quando personalità come il procuratore di Torino Armando Spataro rivendicavano a mezzo stampa il diritto-dovere di schierarsi, in quanto non veniva leso il principio di terziarietà, mentre da altre parti, tra cui il vicepresidente Legnini, si invitava alla cautela considerando che il referendum aveva un significato politico. Anche l’infinito dibattito dodici anni fa sulla riforma Castelli dell’ordinamento giudiziario e poi sul decreto sugli illeciti disciplinari dei magistrati spiegano quanto la materia sia sottile.

  

Il monito di Mattarella, e le prese di posizione di magistrati e politici cui il Foglio ha dato spazio negli scorsi giorni, vanno ovviamente sottoposti a verifica di fattibilità e le difficoltà esistono. Un articolo di Giovanni Bianconi ieri sul Corriere le elencava, comprese le “linee guida” sulla comunicazione che sarebbero allo studio del Csm. Ed è chiaro che il sottofondo è sempre un problema di cultura dei magistrati e dell’informazione. Ma tutto questo non può minimizzare la portata di fatti e dichiarazioni che indicano una consapevolezza nuova in materia di controllo del circo mediatico-giudiziario.

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  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"