In Italia si intercetta sempre di più, senza paragoni in Europa

Luciano Capone

Secondo i dati pubblicati dal ministero della Giustizia sono 114 mila le utenze intercettate ogni anno. In Francia sono circa 40 mila, in Germania 23 mila e nel Regno Unito poco più di 3 mila

Roma. In questo periodo si è parlato molto di intercettazioni, soprattutto a causa del decreto legislativo del governo e per la concomitanza con lo scoperchiamento della vicenda Consip. Al centro della discussione, per entrambe le questioni, si è messo il tema della diffusione e della pubblicazione delle intercettazioni: da un lato chi chiede strumenti che limitino la trascrizione e la pubblicazione di intercettazioni non rilevanti ai fini dell’indagine, dall’altro chi protesta contro provvedimenti che limiterebbero il diritto d’informazione. Poco si discute, invece, non tanto della pubblicazione – che resta un problema rilevante – ma del numero di intercettazioni.

 

Domenica 24 settembre il Sole 24 Ore ha affiancato all’intervista al ministro della Giustizia Andrea Orlando una tabella con i dati sulle intercettazioni in Italia che mostra un trend in crescita spaventosa: nel 2003 le intercettazioni ordinarie erano circa 156 mila, quelle antimafia 79 mila e quelle antiterrorismo 4,4 mila. Nel 2016 le intercettazioni ordinarie sono salite 265 mila (più 70 per cento), quelle antimafia a 113 mila (più 43 per cento) e quelle antiterrorismo a 8 mila (più 45 per cento). Se, data la situazione internazionale, si comprende la necessità di aumentare i controlli sul fronte del terrorismo e la lotta alle criminalità organizzate di stampo mafioso resta una peculiarità del nostro paese, stupisce un aumento così considerevole delle intercettazioni ordinarie a un livello che non ha pari negli altri paesi occidentali.

 

I dati pubblicati dal ministero della Giustizia nella sua Relazione sull’amministrazione della giustizia sono più contenuti, probabilmente perché si riferiscono ai bersagli e non al numero di autorizzazioni e rinnovi, ma si tratta in ogni caso di un numero considerevole: 114 mila utenze intercettate ogni anno. Il giornalista del post Davide Maria De Luca ha provato a fare un confronto internazionale: in Francia sono circa 40 mila, in Germania 23 mila e nel Regno Unito poco più di 3 mila. “Se guardiamo alla popolazione, questo significa che in Italia, un paese di 60 milioni di abitanti, si intercettano più del doppio delle utenze telefoniche che in tre paesi dove abitano in tutto 212 milioni di persone”, scrive De Luca. Naturalmente, come ogni strumento investigativo, anche le intercettazioni hanno un costo che non è affatto marginale se viene usato con questa intensità. Secondo i calcoli della rivista specializzata “Sicurezza e Giustizia” in dieci anni, dal 2005 al 2015, sono stati spesi circa 2 miliardi e 400 milioni di euro. Si tratta di una spesa media di 240 milioni l’anno, che rappresenta la voce principale di spesa per la giustizia (oscilla tra il 26 e il 35 per cento sul totale). L’andamento delle spese non è però omogeneo sul territorio, ad esempio nel decennio preso in considerazione, se la spesa per intercettazioni nel distretto di Palermo si è quasi dimezzata (da 51 a 27 milioni) in quello di Roma si è triplicata (da 5,8 a 17 milioni), se a Torino si è dimezzata (da 13 a 5,7 milioni) a Napoli è aumentata da 19 a 21 milioni. Secondo il rapporto di “Sicurezza e giustizia” dal titolo “Lost in interception”, che segnala anche problemi nelle statistiche ufficiali sul tema, l’enorme difformità in merito alla distribuzione dei costi sostenuti nei vari distretti per le attività di intercettazione non è giustificata dai diversi listini applicati nei vari uffici giudiziari, “ma è dovuta alla durata delle stesse e delle relative proroghe che non sono monitorate a livello centrale”. Insomma, si sa che in generale si intercetta molto e molto a lungo. Ma i dati e le statistiche sono grossolane e poco chiare, perché l’Italia è uno dei pochi paesi che non ha un sistema di monitoraggio centralizzato sulle intercettazioni.

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali