La repubblica della proroga. Ecco il vero mostro del caso Consip

Roberto Arditti

Il dramma di Consip non sono le indagini ma i 4 miliardi e più di gare che una burocrazia ingolfata non riesce ad aggiudicare

Qui non è questione di fare il processo alle intenzioni, che probabilmente erano lodevoli e riassumibili in poche parole: centralizzare i processi di spesa pubblica al fine di ottenere tre risultati (non in ordine di importanza), risparmiare denaro, combattere la corruzione e migliorare il servizio, rendendolo uniforme su scala nazionale (se compra uno per tutti lo fa allo stesso prezzo, sullo stesso capitolato e ed è più difficilmente influenzabile).

 

Questo il senso ultimo della centrale acquisti nazionale, che su diverse forniture tutto sommato raggiunge il suo obbiettivo.

 

Ad esempio ci riesce su molti servizi ad alto valore aggiunto, dove la componente tecnologica e più in generale di «conoscenza» è significativamente elevata.

 

A un certo punto, però, il meccanismo si inceppa, giungendo ad un risultato paradossale ed inquietante allo stesso tempo. Succede quando Consip si imbatte nei servizi di facility management (pulizie, guardiania e così via, per dirla all’italiana) e qui pecca di ingenuità (vogliamo sperare), oppure segue la moda sbagliata.

 

Già perché a un certo punto Consip si inventa delle gare semplicemente mostruose, di cui FM4 è la più grande e la più famosa (quella delle inchieste di questi mesi tra Napoli e Roma e delle relazioni dell’Anac e dell’Autorità per la Concorrenza di questi ultimi giorni).

 

Gare mostruose per dimensione economica e, quindi, per capacità di generazione di appetiti nel sistema, virtuosi e non. FM4 infatti mette a bando oltre 2,5 miliardi di euro, seppur divisa in diciotto lotti. E lo stesso fanno anche le gare per le caserme e per i musei, che messe insieme vanno ben oltre il miliardo di euro. Qual è il destino comune a queste tra gare, tutte lanciate tra la primavera del 2014 è la fine del 2015?

 

  

Semplice e spaventoso: giacciono nel limbo di aggiudicazioni provvisorie mai divenute definitive e peraltro ormai sepolte da infiniti atti successivi dei più disparati organi dello Stato (attività di Polizia Giudiziaria, provvedimenti delle Procure, relazioni Anac e Autorità per la Concorrenza, determinazione della medesima Consip).

  

Al punto che oggi nessuno riesce a capire come si uscirà da questo “buco nero” poiché ogni decisione (compresa quella di ritirare le gare medesime) verrebbe seppellita di ricorsi da parte di tutti quei soggetti che dovessero ritenersi ingiustamente colpiti nei propri diritti.

 

Ecco la vera partita della vicenda Consip, poiché questa è la sfida di sistema che la vicenda pone al governo e alla società incaricata del servizio di centrale acquisti, al Parlamento e alla autorità indipendenti, alla magistratura penale ed a quella amministrativa, al mondo delle imprese e più in generale a tutte le rappresentanze economiche.

 

La Repubblica ha quattro miliardi e più di gare che non riesce ad aggiudicare, mentre i servizi ad esse collegati procedono in regime di proroga, con evidente danno logico, procedurale, amministrativo ed economico, per non parlare del danno morale e di quello reputazionale (all’estero nessuno è in grado di comprendere questa repellente stranezza italiana).

 

E’ evidente quindi che questo e il tema più importante cui si trovano di fronte i nuovi vertici di Consip. Essi devono trovare una soluzione per le mostruosità del passato e indicare una linea virtuosa per il futuro. Sanno bene il presidente Roberto Basso e l’amministratore delegato Cristiano Cannarsa che sarà una battaglia durissima, ma cercheranno una soluzione entro la fine di quest’anno, naturalmente coinvolgendo tutti gli organi dello Stato titolati ad avere un ruolo, a cominciare dalla procura della Repubblica di Roma.

 

E’ però di tutta evidenza che occorrerà cambiare rotta, anche perché il problema non si è posto solo nella maxi gare di facility management.

 

Come racconta al Foglio Gianluigi Pellegrino è di poche settimane fa una sentenza del Consiglio di Stato che bacchetta Consip sulla gara che ha messo insieme i servizi legali con la consulenza strategica. Ha vinto Ernest&Young ma la suprema corte amministrativa ha eccepito sulla logica stessa della gara, che ha finito per escludere tutti gli studi legali (in un paese di avvocati è scelta stravagante).

 

Non facciamoci distrarre dunque da intercettazioni più o meno gustose, più o meno penalmente rilevanti, più o meno rappresentative di reali volontà delinquenziali. In gioco c’è ben altro, fermo restando che i malandrini, comunque si chiamino, vanno assicurati alla giustizia. In ballo c’è la nostra reputazione di Repubblica in grado di dare un seguito concreto e coerente con quanto scriviamo nei nostri bandi di gara. E scusate se è poco.

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