Contrada lo pseudoreato, la calunnia e l'opinione pubblica

Giuliano Ferrara

Le otto vite riabilitate del poliziotto, l’onore perduto di certi pm e politici e del Giornalista Collettivo

Bruno Contrada ha avuto il tempo di vivere sette vite come i gatti e intanto si preparava l’ottava del “riabilitato”. Sono vent’anni e più che lo ho conosciuto, difeso sulla minoritaria tribuna del Foglio e su quelle televisive, vent’anni e più di incontri fugaci e lettere dal carcere, presentazioni di libri e manifestazioni pubbliche tra paria dell’informazione e della giustizia penale, e mai si è lasciato sfuggire, nella conversazione e per lettera, un’espressione di orrore per come gli apparati di giustizia dello stato, guidati da teoremi ideologici devastanti, lo stavano trattando. Si è sempre portato da “riabilitando”, battendo il chiodo delle sentenze con impareggiabile tenacia, sicuramente per quanto disperatamente. Ora che è definitivamente sciolto da addebiti ridicoli, grotteschi anzi, dalle alte corti europee e italiane, emerge come un funzionario esemplare vittima di una persecuzione che gli è costata dieci anni di carcere, dico dieci, e la fine virtuale di sette vite professionali nella vergogna della gogna antimafia.

 

Nel frattempo i suoi inquisitori hanno vissuto anche loro sette vite agli onori delle cronache giudiziarie e politiche, si sono, come si dice, fatti un nome. Hanno tentato vite pubblicistiche, sviluppi forti di carriera, avventure politiche risibili ma minacciose, hanno impestato l’aria della democrazia liberale italiana del sapore acre del pregiudizio, sulla scia del processo Contrada si sono illustrati con altre gestioni allegre del concorso esterno in associazione mafiosa, una truffa politico-giudiziaria per cui Marcello Dell’Utri è tuttora in carcere e molti altri, come lui, hanno subìto le conseguenze del pregiudizio e della faziosità politica fattasi giustizia mediatica, ambizione presenzialista. Mentre Contrada languiva in carcere o continuava la sua solitaria battaglia il Giornalista Collettivo ha brindato alle sue fonti esclusive, ha diffuso la pestilenza della calunnia a piene mani, ha evitato la fatica di domandarsi non dico dove fossero le prove, che non ci sono mai state, ma anche solo gli indizi che un uomo dello stato fosse, come nelle telenovele televisive, un uomo della mafia. Le telenovele bastavano per costruire il contrafforte fictional di un processo bestiale, che solo così, bestialmente ma almeno in modo liberatorio, poteva finire: con la cassazione della sua premessa, il reato stesso.

 

E qui è il problema che va oltre l’onore di Contrada e riguarda il nostro onore. Tra poco potremo dire che una intera generazione di politici, uomini pubblici a vario titolo, giuristi e membri vari del kommentariat, salvo rarissime eccezioni, ha deciso di subire una torsione inaudita del diritto, alla quale adesso in un rinnovato, inestinguibile clima di fanatismo, si vorrebbe dare la nuova sanzione del codice antimafia. Si sono perfino provati a ridefinire in certi dimenticati convegni e progetti di legge il concorso esterno in mafia, senza mai riuscirci perché è impossibile in termini di logica giuridica e di logica tout court. Quando a Contrada attribuirono, nella forma del sospetto come anticamera della verità, le sue attività investigative e di intelligence, dunque anche i contatti con i boss, come prova di servizio perverso alla criminalità, allora il reato nemmeno esisteva, non si configurava come tale nella prassi giurisprudenziale. 

 

Per decenni questo straccio di sospetto inquisitoriale con virtù odiosamente retroattiva e senza basi è diventato uno strumento di condizionamento e di lotta politica, di costruzione di un’immagine ideologica di antimafiosità d’avanguardia, e dei piccoli e grandi Dreyfus che restavano stritolati nel tritatutto delle accuse facili nessuno sapeva che farsene in quanto soggetti di diritto in uno stato di diritto sempre più improbabile, presuntivo. Nemmeno Berlusconi e Renzi, che dovrebbero avere imparato che cosa significhi la deviazione permanente della funzione giudiziaria a scopi politici, sono mai riusciti a superare i veti colossali e i ricatti delle vestali dell’opinione pubblica disinformata e fanatizzata. C’è solo da sperare che adesso qualcuno si vergogni e che il legislatore abolisca la possibilità di usare questo pseudoreato aspecifico, che si costruisce sulla pressione d’opinione e sulla propalazione della calunnia, come è avvenuto con i Mori e gli altri nel processo sulla trattativa stato-mafia e circonvicini, che poi i protagonisti Torquemada sono sempre gli stessi del caso Contrada, anche se i roghi cambiano di sede e di data.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.