La nuova inquisizione antimafia

Redazione

I danni del nuovo codice, che equipara corruzione e criminalità. Fermarsi

Riprende oggi in Senato l’esame del nuovo codice antimafia – il “ddl sponsorizzato da Repubblica”, come lo ha definito Liana Milella – già in larga parte approvato, e sembra dunque una formalità. Ma il nuovo codice antimafia contiene una forzatura, concettuale e procedurale, di cui forse ci si è accorti in ritardo, soprattutto nel partito di maggioranza nel governo. Si vogliono infatti applicare le misure di prevenzione anche ai reati di corruzione, e per farlo si introduce la necessità del vincolo associativo mafioso, il 416. Per la prima volta viene affermato che una serie di reati contro la Pubblica amministrazione, come la corruzione, la concussione e il fantomatico traffico di influenze, non sono soltanto reati di malaffare politico e amministrativo, ma rientrano a pieno titolo nella criminalità mafiosa. E questo permetterà di applicare misure restrittive, ad esempio sui beni e sui patrimoni, in modo preventivo, esattamente come avviene per i reati mafiosi. Il presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia, ha denunciato che la norma è frutto di una “giustizia del sospetto che fa danni all’economia”, sottolineando che in questo modo “il diritto penale non si applica più con le garanzie del processo, ma nella fase cautelare, in cui queste garanzie sono molto attenuate”. E il presidente dell’Autorità anticorruzione, Raffaele Cantone, ha dichiarato che “la modifica che si vuole approvare al codice antimafia non è né utile, né opportuna e rischia persino di essere controproducente”. Un altro caso di “populismo penale onnivoro”, per il giurista Giovanni Fiandaca. Siamo nell’Italia del “caso” Consip e di Mafia Capitale: davvero servono alla magistratura nuovi strumenti arbitrari per svolgere indagini costruite, spesso, su teoremi preventivi?

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