Fabrizio Corona esulta dopo la lettura della sentenza (foto LaPresse)

Corona, la mafia non c'entrava

Annalisa Chirico

In uno stato di diritto è giusto che paghi per i reati commessi, non per i peccati o per il cattivo esempio

Il giudice ha deciso: la mafia non c'entrava. I pm cercavano i panetti di droga, invece hanno trovato un evasore fiscale che nascondeva i soldi nel controsoffitto. Da traviatore di costumi a mafioso, il passo è breve. Sottrarre i soldi al fisco è un reato grave, per carità, che però costa a Fabrizio Corona, per decisione del giudice, un solo anno di carcere. Insomma, una condanna light, la procura ne chiedeva cinque contestando pure l'intestazione fittizia di beni e la violazione delle norme patrimoniali sulle misure di prevenzione, entrambe le imputazioni 'pesanti' sono cadute per decisione del giudice.

 

Lo scorso ottobre però sono servite ad arrestarlo davanti al figlio 14enne, manco fosse Al Capone. Affidamento revocato, si torna dietro le sbarre. La mafia non c'entrava. L'indagine, va ricordato, partiva da una denuncia dello stesso Corona che si dichiarava vittima di estorsione. La vicenda non sarebbe deflagrata se l'antimafia ambrosiana (citofonare Dda) non ci avesse messo lo zampino. Corona non torna in libertà perché deve terminare di scontare le pene definitive accumulate. Ma in uno stato di diritto è giusto che paghi per i reati commessi, non per i peccati o per il cattivo esempio o per gli eccessi della sua condotta di bello e dannato.

 

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