Raffaele Cantone (foto LaPresse)

Il governo Gentiloni spunta le armi di Cantone. Poi fa marcia indietro

Redazione

Il Consiglio dei ministri modifica il nuovo codice degli appalti e ridimensiona i poteri dell'Autorità. Poi, dopo la polemica, il cambio di rotta: “L'errore verrà corretto”

Il Consiglio dei ministri ridimensiona il potere dell'Anac. Poi, investito dalle polemiche, fa marcia indietro. Succede tutto nel giro di poche ore. A metà pomeriggio si diffonde la notizia che il Consiglio dei ministri, esaminando il nuovo codice degli appalti, ha deciso di abrogare il passaggio che attribuisce superpoteri all’Anticorruzione di Raffaele Cantone, in materia di intervento e prevenzione (il comma 2 dell’articolo 211). In particolare vengono ridimensionati ruolo e capacità di azione dell’Anac che fino, ad oggi, poteva intervenire senza aspettare un giudice se ravvisasse gravi illeciti.

 

Ma bastano poche ore ed ecco il passo indietro. Paolo Gentiloni è a Washington, le polemiche sono violentissime. C'è chi accusa l'esecutivo di non voler combattere la corruzione. È a questo punto che fonti di Palazzo Chigi fanno sapere che da parte del governo non c'è alcuna volontà politica di ridimensionare i poteri dell'Anac. Anzi, in sede di conversione del decreto di riforma del codice degli appalti, l'errore verrà corretto “in maniera inequivocabile”.

 

Catone il gendarmone Il Foglio si è più volte occupato dei poteri affidati all'Anac di Raffaele Cantone. Quella che il professore Sabino Cassese, con una formula piuttosto efficace, aveva definito “il gendarmone” Anac: organismo anticorruzione così “sovraccarico”, da un lato, e così poco “indipendente” dall’altro (poco indipendente dai governi di fatto, anche se magari non nelle intenzioni). Dopo una lunga intervista del direttore di questo giornale con Cantone, ci chiedevamo se il ruolo che Renzi pensava per il magistrato fosse non solo di combattere la corruzione ma di moralizzare il paese.

 

La “spada” di Cantone era appunto l’articolo 211, dove al comma 2 si leggeva che “qualora l'Anac, nell'esercizio delle proprie funzioni, ritenga sussistente un vizio di legittimità in uno degli atti della procedura di gara invita mediante atto di raccomandazione la stazione appaltante ad agire in autotutela e a rimuovere altresì gli eventuali effetti degli atti illegittimi, entro un termine non superiore a sessanta giorni. Il mancato adeguamento della stazione appaltante alla raccomandazione vincolante dell'Autorità entro il termine fissato è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria entro il limite minimo di euro 250 e il limite massimo di euro 25.000, posta a carico del dirigente responsabile. La sanzione incide altresì sul sistema reputazionale delle stazioni appaltanti, di cui all'articolo 36 del presente codice. La raccomandazione è impugnabile innanzi ai competenti organi della giustizia amministrativa ai sensi dell'articolo 120 del codice del processo amministrativo”.

 

Polemiche e rassicurazioni Stefano Esposito e Raffaella Mariani, relatori in commissione Lavori pubblici del Senato, dove il codice ha preso forma, non avevano affatto gradito la modifica. “Questa soppressione è un atto grave e i responsabili devono assumersene la responsabilità - avevano spiegato intervistati dall'Huffington Post -. Chiediamo al presidente Gentiloni e al ministro Delrio che venga posto rimedio a questo blitz”.

Contro anche il M5s. “Con un colpo di spugna l’Anac ha perso i suoi poteri”, scriveva su Facebook la deputata M5s Roberta Lombardi. “Chi vuole proteggere la corruzione in Italia – continuava – a discapito dei cittadini onesti? Nel frattempo crollano ponti e cavalcavia”.

 

Rassicurazioni arrivavano invece da Andrea Orlando che, da ministro, invoca una verifica del Consiglio dei ministri. “Verificheremo - assicurava - vediamo se in effetti la norma produce quelle conseguenze e sulla base di questo credo si debba fare una riflessione”. Anche Matteo Orfini non aveva dubbi: “Depotenziare l'Anac è un errore che sicuramente Governo e Parlamento correggeranno subito”. Promessa mantenuta.