Un'altra Nizza. Al Tour de France vince Alaphilippe

Dopo la pioggia, il sole. Dopo i pirati, i contrabbandieri. Dopo Kristoff, il francese della Deceunick - Quick Step. La seconda tappa della Grande Boucle è un nuovo racconto dettato da Steinbeck

Giovanni Battistuzzi

Sosteneva lo scrittore americano John Steinbeck che dato uno stesso incipit e uno stesso finale "numerosissime sono le storie che se ne possono ricavare". E questo perché sebbene il finale sia ciò che molto spesso ci rimane in mente, è lo svolgimento e "diverse possibilità di raccontare il mondo" a essere ciò che davvero conta nella letteratura.

 

Il ciclismo la lezione di Steinbeck la conosce bene, la ripropone ogni anno nelle Classiche e nella maggior parte delle gare di un giorno. Scenari immutati, storie diverse. Il Tour de France classica non è, per questo motivo da deciso di rielaborare il concetto. Ha mantenuto la stessa partenza e lo stesso arrivo, ha però cambiato l'inframezzo, mutando il racconto. Un racconto che rivoluziona l'epilogo, togliendo personaggi alla scena finale, mantenendo però la stessa incertezza, complicandola il giusto. Perché tre uomini che giocano a non farsi sorprendere, mentre cercano di non farsi riprendere dal gruppo è un gioco tra la sopraffazione e la sopravvivenza, un pedalare su di un filo ballerino e scivoloso come l'asfalto che si bagna per la prima volta dopo mesi di sole. Come l'asfalto di Nizza, quello assaggiato con tutte le parti del corpo da molti. Ma era storia di ieri.

 

Quella di oggi è completamente diversa: alpina per un centinaio di chilometri, balneare per conclusione, soprattutto soleggiata. Il nero delle nuvole non ha incupito il mare che appariva più brillante e sereno, rassegnato a non essere lui, ma la montagna, il centro d'attenzione di telecamere ed elicotteri.

 

E così il pirata nordico ha alzato bandiera bianca: Kristoff sul Col di Turini si è staccato ed è arrivato tranquillamente rassegnato a ventotto minuti.

 

E così il vuoto lasciato dai bucanieri l'hanno colmato i contrabbandieri, quelli di monti e acqua dolce. E, come spesso accade, il migliore a contrabbandare scatti e rivolte a pedali è stato Julian Alaphilippe. Sul Col d'Eze dimezzato, che gli organizzatori hanno nominato Col des Quatres Chemins, il francese ha dato il via all'insurrezione. Marc Hirshi ne ha seguito sin da subito la foga, provando a essere più astuto dell'astuzia, finendo, suo malgrado, a collaborare per un'idea di vittoria, bacchettato dal francese e da Adam Yates rientrato sui due giusto in tempo per dare una mano e riaccendere la speranza di poter giungere all'arrivo avanti al gruppo. Missione compiuta. In un gioco di rallentamenti e di sguardi, di bluff mimici e attese per lo scatto buono, i tre sono arrivati. E nell'ordine esatto nel quale erano partiti: primo Alaphilippe, secondo Hirshi, terzo Yates.

 

Eppure in tutto questo gioco di cambiamenti di trama qualcosa non si è perso. Due facce avanti a tutti quando nessuno vorrebbe stare avanti a tutti. Quelle di Vegard Stake Laengen e Marco Marcato, attori non protagonisti, caratteristi di mestiere. In pratica indispensabili: perché se non fosse per loro, per il loro ruolo di spalla, in questo caso non comica, il ciclismo di oggi non potrebbe esistere. Hanno tirato sin quasi in cima al Col de la Colmaine, poi sono stati accanto a Kristoff e quando il pirata del nord si è staccato si sono rimessi davanti a fare ritmo. Una storia che non cambia. Forse la migliore.

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