La legge del vento

La prima tappa della Parigi-Nizza è stata vinta da Dylan Groenewegen allo sprint. Sono state le folate e i ventagli a renderla splendida

Giovanni Battistuzzi

È sempre dannato, almeno quando arriva in faccia e trasforma una strada in pianura in un muro. È sempre benedetto, almeno quando soffia sulla schiena e solleva chi pedala dalla fatica, sospinge il passo, lo rende leggero. Non è mai sempre dannato e sempre benedetto, quasi sempre ringraziamenti e maledizioni si alternano in un susseguirsi di umori che regala a chi pedala un disturbo borderline di personalità, una forma nemmeno troppo lieve di bipolarismo. A volte illude gli avanguardisti che dal vento sono sospinti verso l'arrivo, a volte ne consuma energie, entusiasmi, addirittura la voglia di pedalare. A volte sorride al gruppo, ne rende più facile l'inseguimento, a volte il gruppo lo disintegra. È moltiplicatore dell'andare insieme, divide et impera: rende sparpaglio quel che era unione d'intenti. "Il vento è una rogna che non possiamo eliminare, ma è pur sempre una rogna", raccontò all'Equipe Bernard Hinault. Parole di quarant'anni fa che si sono ripresentate ieri a Saint-Germain-en-Laye, prima tappa della Parigi-Nizza. L'ha vinta Dylan Groenewegen allo sprint, ma il bello, lo spettacolo è arrivato prima e senza nemmeno il bisogno di salite o discese. E' bastato il vento, perché il vento basta sempre.

 

 

Eppure niente è più ciclistico del vento: "Quando si pedala si penetra nell'aria e la sia crea. Il vento è il ciclismo. Per questo bisogna saperlo domare", sintetizzò Rik Van Steenbergen. Eppure niente è più artistico di un ventaglio: "Quando il vento soffia il normale pedalare diventa qualcosa di più di un pedalare soltanto: si entra in un territorio dell'interpretazione, dell'intelligenza che diventa furbizia, della furbizia che si trasforma in sfruttamento dell'opportunità. Creare un ventaglio è una forma d'arte, la capacità di realizzare un capolavoro di gestione delle avversità", spiegò sulle pagine dell'Equipe Pierre Chany, scrittore prestato per passione al giornalismo sportivo.

 

E' quando il vento soffia laterale che i corridori si dispongono l'uno accanto all'altro leggermente sfalsati per proteggersi dalle folate: lo si chiama in gergo ventaglio, è una questione di tempismo e abilità. È il capire immediatamente che c'è bisogno di mettersi al fianco di qualcuno, è la capacità di mettersi al fianco di qualcuno prima degli altri, prima della fine della carreggiata, prima che sia troppo tardi, prima che l'aria si trasformi in muro e che renda vana tutta la fatica fatta sino a quel momento. "Il ventaglio è fare la cosa giusta nel momento giusto. E la cosa giusta nel momento giusto è sempre la stessa: fare meno fatica possibile. È una particolare predisposizione alla pigrizia", scherzò a Sporza Rik Van Looy. È soprattutto una sorta di protezione, perché quando una folata ti investe e sei da solo si può facilmente finire a ruote all'aria. Michael MatthewsMartijn Tusveld ci hanno rimesso la corsa: entrambi per terra, entrambi ritirati e alle prese con botte ovunque.

 

 

Il vento ha caratterizzato anche la seconda tappa della Parigi-Nizza

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