Foto tratta dal profilo Twitter di Thomas De Gendt

De Gent, Wellens e il ciclismo che riscopre il piacere di andare in bicicletta

Giovanni Battistuzzi

I due corridori della Lotto sono partiti ieri da Como per raggiungere il Belgio pedalando per mille chilometri. L'insegnamento di Daniel Oss e la voglia di fregarsene delle classifiche

Per molto tempo era scomparsa, ora sembra essere ritornata. E anche se si tratta di qualche indizio soltanto, non ancora buono per fare una prova, tant'è. Resta la sensazione che una porta sia sia finalmente aperta: quella che un tempo chiudeva fuori il ciclismo dal mondo esterno, i ciclisti da chi va in bicicletta per passione.

 

In molti hanno provato a dare un'occhiata, giusto per vedere cosa c'è al di là, per vedere l'effetto che fa l'andare in bici, il pedalare per pedalare e non per competere. Qualcuno ha provato anche ad attraversarla. 

 

Il primo a farlo è stato Daniel Oss con il suo progetto Just ride, ossia "pedalare solo per me stesso", pedalare per pedalare, "senza guardare i watt”, con chi trova si trova per strada, per prendersi il tempo di guardarsi attorno e godersi tutto il meglio che scorre al di là delle ruote.

 

 

Poi sono arrivati Larry Warbasse e Conor Dunne e il loro #NoGoTour: un po' atto di protesta contro la chiusura della loro squadra, la AquaBlue Sport, soprattutto un modo di fare quello che più piace: pedalare e fregarsene per un po' di tutto il resto, delle gare, delle classifiche, dei premi. 

 

 

Infine ecco due belgi, Thomas De Gendt e Tim Wellens, che hanno deciso che l'idea del viaggio era cosa buona e giusta. Anche se non c'è da manifestare dissenso nei confronti di piani aziendali andati male. I corridori della Lotto hanno deciso che un viaggio in bicicletta dopo un anno di gare era il modo migliore di terminare la stagione. E così sono partiti ieri da Como con direzione Semmerzake, Belgio. In mezzo un migliaio di chilometri e sei giorni di pedalate. L'hanno chiamata #TheFinalBreakaway, "una buona idea per farsi un'ultimo giretto prima di iniziare le vacanze", hanno detto i due alla televisione belga. Una "scampagnata" con il minimo indispensabile, senza rincorrere il tempo, ma solo per riempirsi gli occhi di "tutto quello che non riusciamo a goderci in corsa".

 

Prima tappa: il Giro di Lombardia alle spalle, la strada per il Belgio davanti. E poco male se dopo un Lombardia c'è di meglio che scollinare a 2.106 metri sul livello del mare. O forse no. Perché salire su una salita come il Passo del San Gottardo, lunga, spettacolare per ambientazione e panorama, su di una strada che sale regolare e non si impenna mai, non è poi così male. Soprattutto spiega al meglio cosa voleva dire lo scrittore e regista Mario Fossati quando scrisse che il pedalare "soprattutto all'insù verso un passo" è ciò che "più si avvicina alla liberazione della mente da ogni forma di affaticamento sentimentale e spirituale".

 

 

"Il primo giorno abbiamo il Passo del Gottardo. È lunga 44 km ed è l'unica salita davvero lunga. Il terzo giorno facciamo il Grand Ballon e dopo questa non abbiamo altre grandi salite nel percorso. Al massimo ascesa da cinque, sei chilometri". Anche perché "non volevamo una sfida mentale o fisica. Vogliamo solo andare a casa".

 

 

E poi c'è Alex Dowsett, cronoman inglese della Katusha-Alpecin nonché ex recordman dell'ora, che il 27 ottobre sveste i panni da corridore professionistico e si getta nelle "cose matte mi piacciono": in questo caso la Red Bull Timelaps, ossia 25 ore a pedalare in un circuito chiuso di 6,6 chilometri, una specie di staffetta a pedali di oltre un giorno.

 

Certo nulla a che vedere con il piacere del pedalare fine a se stesso, ma comunque un altro modo di intendere la bicicletta.

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