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La Bicifestazione del 28 aprile e il dovere di vivere in una città migliore

Giovanni Battistuzzi

La bicicletta salverà le nostre città? Buone ragioni per dire di sì. Perché “un'errata lettura del diritto alla mobilità sta uccidendo quello allo spazio, ma soprattutto alla vita”

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“Lo vedi qua sotto? Ora è così, una piazza piena di gente che scatta foto, che chiacchiera. Ci sono turisti e romani, gente che passeggia liberamente. Diciannove anni fa invece quello che si faceva oggi non lo si poteva fare. Te lo ricordi C'eravamo tanto amati di Scola, quando Gassman e Manfredi si ritrovano? Quella era la Piazza del Popolo che i romani si godevano allora, un enorme parcheggio, una delle piazze più belle di Roma trasformata in una distesa di auto in sosta”. Vista dalla terrazza del Pincio Piazza del Popolo è un brulicare di persone, qualche vecchio con il cane, bambini alle prese con un pallone, smartphone e reflex che scattano foto. Su di una panchina un signore avanti con gli anni, un bastone sotto le mani, un Borsalino in testa, un impermeabile sulle spalle e un viso coperto da una barba lunga e bianca. Al suo fianco c'è una bicicletta pieghevole, colore verde inglese. "Questa qui mi segue da tre anni ovunque vado, non mi muovo senza". E a settantanove anni, Agne Larsson, si muove ancora molto: Roma, Trento, Brema, Norrköping, a seguire le tappe della sua carriera accademica. A Trento aveva conosciuto il filosofo Ivan Illich, lo aveva raggiunto a Brema per fargli da assistente, era tornato a Norrköping in Svezia a insegnare antropologia e poi a dirigere un'agenzia di turismo, collaborando con l'amministrazione per la realizzazione del nuovo piano di mobilità. Infine il ritorno in Italia chiamato dall'Unido, l'Organizzazione delle Nazioni Unite per lo Sviluppo Industriale.

 

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Larsson ha una voce profonda, modi gentili. Legge: "Articolo 13 della Dichiarazione universale dei diritti dell'Uomo: Ogni individuo ha diritto alla libertà di movimento e di residenza entro i confini di ogni Stato". Prende una pausa. "Vuol dire essenzialmente due cose: in primis riguarda il discorso dell'immigrazione e a tal proposito è stato impugnato dalle associazioni umanitarie; in secundis riguarda il diritto delle persone di muoversi come vogliono all'interno di uno stato. E questa lettura ha giustificato in pratica l'utilizzo smodato dell'auto. Se abbiamo il diritto alla libertà di movimento allora possiamo muoverci come e quanto vogliamo. C'è solo un problema. Il diritto di muoversi dovrebbe essere legato al dovere del muoversi seguendo il buon senso. Il problema è che questo secondo passaggio ce lo siamo dimenticati".

 

Il rapporto tra diritti e doveri è però in Italia, e non solo in Italia, "ma ovunque non si utilizzi la razionalità", alla base di tutti quei problemi che attanagliano le nostre città: sicurezza stradale, elevato numero di morti sulle strade, sovraffollamento di automobili in città, parcheggio selvaggio, malfunzionamenti della rete viaria. "Se a Roma le strade sono uno schifo, se ogni anno oltre 150 persone muoiono sulle strade della Capitale, se le code sono chilometriche e i mezzi pubblici sono in costante ritardo, non è solo colpa delle amministrazioni che si sono susseguite e che molto spesso hanno mal amministrato la città, la colpa è principalmente nostra". Tutti i problemi sono legati e hanno un colpevole comune: "L'eccessivo utilizzo dell'auto di proprietà". E questo sta provocando un problema serio, un cortocircuito dal quale dobbiamo cercare di uscire al più presto: "Un'errata lettura del diritto alla mobilità sta uccidendo quello allo spazio, ma soprattutto alla vita".

 

Secondo Larsson non si tratta di abolire le auto, farle scomparire, ma creare una convivenza tra auto e persone, senza che attorno alle prime si regoli l'esistenza delle seconde. "Si tratta di riappropriarsi degli spazi, di fare delle nostre città quello che a Roma si è fatto con Piazza del Popolo". Per questo un'idea come quella della "Bicifestazione del 28 aprile, ossia quella di mettere le biciclette e non solo le biciclette, ma un sistema di mezzi pubblici efficienti, di luoghi pedonali e di strade a bassa velocità di percorrenza, al centro del discorso sul cambiamento delle città, è l'unico modo per permetterci di avere la possibilità di riappropriarci delle due cose più importanti della nostra vita: il tempo e lo spazio".

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Non è poi così difficile cambiare una città, renderla a misura d'uomo. Ci sono esempi virtuosi ovunque. C'è Amsterdam, che negli anni Settanta aveva un traffico paragonabile a quello di Roma e che ora è la terza città al mondo nell'indice di ciclabilità. C'è Tokyo, nona città al mondo per ciclabilità, dove, dopo che negli anni Novanta l'amministrazione ha deciso di diminuire il traffico cittadino puntando sul trasporto intermodale (ossia favorendo il trasporto delle biciclette sui mezzi pubblici) e sulla moltiplicazione delle Zone 30, zone a bassa velocità veicolare munite di un sistema di sensi unici e dissuasori di velocità, l'utilizzo dell'auto privata è stato dimezzato. C'è Berlino dove nonostante le distanze, l'introduzione di una rete di corsie ciclabili in tutto il territorio urbano ed extraurbano ha ridotto le code nelle strade di oltre il 50 per cento negli ultimi quindici anni.

 

"Ci sono due vie per rendere le nostre città migliori: la prima – spiega Larsson – è sperare in amministrazioni illuminate, la seconda è cercare di renderle migliori. La prima ipotesi non si realizza mai, per questo ogni tanto bisogna calcare la mano. Una città invasa dalle biciclette è un buon punto di partenza, serve a far capire a chi non concepisce una città senza auto o motorini, che ci sono un sacco di altre persone che non sono d'accordo con questa visione".

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