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Damiano Cunego e l'ultimo volo del Piccolo Principe

Giovanni Battistuzzi

Il ciclista veronese tra pochi mesi chiuderà una carriera con tante vittorie e moltissimi forse. La sua squadra però non ha ancora la certezza di partecipare al prossimo Giro d'Italia. Buoni motivi per un invito

Antoine de Saint-Exupéry sugli aerei ci è salito davvero: volava, prima per l'Aéropostale, spedizioni postali, poi per l'Armée de l'air, seconda guerra mondiale, capo di una squadriglia di caccia. E volava pure il suo personaggio più famoso e riuscito, l'aviatore che incontra il Piccolo principe.

 

Con la penna di Antoine de Saint-Exupéry, Damiano Cunego c'entra poco o niente. Ciclista e non aviatore, veronese e non francese, veneto nella sua forma più pragmatica e non sognatore da romanzo, ma Piccolo Principe anche lui, per soprannome più che per elezione. Eppure c'è stato un momento nel quale anche Damiano Cunego volava. Lo faceva pedalando in bicicletta, non ai comandi di un aereo, ma lo faceva bene, a tal punto da renderlo guida silenziosa di un movimento che allora vinceva e vinceva parecchio. Erano anni nei quali l'Italia era temuta e vincente, anni nei quali Giri e classiche si accumulavano nelle bacheche dei ciclisti azzurri, assieme a Mondiali e Olimpiadi. Anni di vacche grasse e grasse a tal punto che quelle magre di ora sembrano scheletri e le polemiche hanno sostituito gli allori di allora a tal punto da far apparire tutto fosco e perduto, un disastro senza precedenti.

 

Ora Damiano Cunego Piccolo Principe lo è ancora, ma Piccolo Principe ai saluti verso un mondo al quale ha sacrificato una carriera, all'interno del quale ha fatto incetta di tutto, o quasi, quello che poteva vincere, ma in un tempo limitato, talmente veloce da sembrare irreale, una scalata incredibile tanto da credere che potesse durare in eterno, ma che poi si è rivelata fugace.

 

Ha stupito tutti il veronese e di questo stupore generale ne è stato vittima soprattutto lui.

 

Il Giro d'Italia del 2004

Due anni per capire come funzionava il mondo dei professionisti e poi ecco il successo al Giro d'Italia, quello del 2004, quello del grande sgarbo al capitano, Gilberto Simoni detto Gibo. Le vittorie a Pontremoli e al santuario di Montevergine di Mercogliano, la maglia Rosa conquistata e poi persa, prima della grande trappola di Falzes, di quella fuga rocambolesca iniziata sul Passo di Furcia e poi continuata per 59 chilometri per la Val Pusteria, prima dell'apoteosi a risalir la strada verso Terento e poi verso il traguardo. Un minuto e sedici prima di Rinaldo Nocentini, due minuti e trentanove secondi avanti al gruppo, maglia Rosa rinconquistata e poi portata sino a Milano. Un capolavoro tattico del direttore sportivo della Saeco, Giuseppe Martinelli, un capolavoro a pedali di Damiano Cunego, un volo alla Antoine de Saint-Exupéry.

 

 

Sul gradino più alto del podio sotto le guglie del Duomo a ventitré anni è cosa non da tutti, solo in dieci sono riusciti prima di lui e si chiamavano Fausto Coppi, Beppe Saronni, Gino Bartali, Alfredo Binda, Eddy Merckx, ossia quasi tutto il meglio che c'è stato nella storia del ciclismo.

 

Il tempo delle Classiche

Poi sempre nel 2004 arriva il successo al Giro di Lombardia. Poi qualche intoppo fisico, la maglia bianca di miglior giovane al Tour de France 2006, un altro Giro di Lombardia nel 2007, l'Amstel Gold Race nel 2008 e il terzo Giro di Lombardia sempre nel 2008. In pochi a ventisette anni potevano vantare tanto.

 

Ma proprio quando si pensava che tutto fosse possibile, Damiano Cunego decise che non era più il tempo di volare, che con la fantasia si viaggia bene, ma è con la realtà che si deve fare i conti. E i conti si trasformarono in perdita, l'eccezionalità di un tempo si perse per troppe vie e troppe vie evaporano anche il talento più limpido. Cunego smise di volare, spense i motori e iniziò a planare verso un mondo che non era più il mondo del grandissimo ciclismo.

 

Forse avrebbe potuto fare di più, forse ha fatto invece molto meglio di quello che poteva fare. Chissà. Forse la sua scelta di fedeltà a un gruppo, quello guidato dalla famiglia Galbusera (Lampre) e guidato da Saronni, è stata una culla troppo morbida per fargli trovare la cattiveria agonistica che aveva a inizio carriera. Forse invece erano solo cambiati i tempi e il suo modo di andare in bici era diventato di colpo passato, serviva altro e quell'altro lui non era in grado di darlo. Forse aveva dato tutto e lo aveva fatto troppo in fretta, oppure non è riuscito a capire che se non si è Eddy Merckx è difficile poter pensare di vincere sia le grandi corse di un giorno che i grandi giri e se si continua a volere tutto si rischia di bruciarsi e non vincere niente.

 

Ci sono tanti forse nella carriera di Damiano Cunego, tanti quanti ci sono in un personaggio letterario, uno di quelli che sono diventati protagonisti loro malgrado, che le parole hanno sempre cercato di evitarle.

 

Ci sono tanti forse nella carriera di Damiano Cunego e un ultimo da risolvere per forza. Perché forse Damiano Cunego parteciperà per l'ultima volta al Giro d'Italia, quello numero 101, quello che partirà da Gerusalemme e finirà a Roma, quello che sarà ultimo per forza, ché la decisione è stata già presa: ultima stagione, ultima bicicletta, ritiro.

 

Questo forse però non sarà Damiano Cunego a risolverlo, ci penserà per lui l'organizzazione del Giro d'Italia domani pubblicando i quattro inviti alla corsa Rosa. Quattro squadre che serviranno a completare la compagine dei pretendenti al Trofeo senza fine (la coppa che solleva il vincitore del Giro). Quattro squadre che sono in realtà due perché l'Androni Giocattoli di Gianni Savio è già sicura dell'invito e l'Israel Cycling Academy lo è quasi, se non altro perché si parte da Gerusalemme. Ne mancano due. La Nippo-Vini Fantini-Europa Ovini spera ancora, spera di poter dare l'ultima rampa di lancio per l'ultimo volo dell'aviatore Damiano Cunego, per far salutare al Piccolo Principe tutto quello che poteva essere ma non è stato.

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