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L'altra Sanremo. La Classicissima invecchia meglio del Festival

Giovanni Battistuzzi

La Milano-Sanremo ha centoundici anni, centosette edizioni e la prossima a venire, eppure è ancora molto più giovane della manifestazione musicale

Sanremo, Riviera di Ponente, Liguria. Sanremo che è mare e fiori, almeno per luogo comune, almeno per detto, da molto se non da sempre. Sanremo che è Liguria e proprio per questo non cambia, "perché qui, in questo semicerchio di terre che incontrano le acque, il tempo si ferma e più non si evolve", almeno per Eugenio Montale, poeta. Sanremo che è musica, quello dello sciabordare delle onde, tutto l'anno, per chi ha il tempo e la voglia di starle a sentire, quello delle note musicali del Festival per una settimana. Strumenti e voci che come la Liguria non cambiano, rimangono le stesse da sessantotto anni, come fossero una litania, come fossero un ritorno dei tempi andati, nostalgia.

 

Ma c'è musica e musica, come c'è Festival e festival. Sarà perché "Sanremo è Sanremo", che niente vuol dire, tautologia. Sarà che qui il tempo davvero "si ferma e più non si evolve". Sarà che ogni cosa qui prende una forma e questa mantiene. Come l'altra musica che in Riviera arriva, ma un giorno soltanto, pochi minuti che sono turbine di note di ruote a frusciare sull'asfalto, di catene che danzano sui pignoni, che sono colori che appaiono all'improvviso giù sull'Aurelia dopo la centrifuga del Poggio. E' l'altra Sanremo, "La Sanremo", Classicissima. Quella che non cambia mai, quella che è Turchino-Capo Mele-Capo Cervo-Capo Berta da una vita. E poi Cipressa e Poggio da un po', da abbastanza per essere storia e tradizione. Quella che ha cento e undici anni, cento e sette edizioni e la prossima a venire. Quella che mai non cambia, nonostante le Manie, nonostante tentativi chissà se veri o solo presunti di rivoluzione. Quella che ogni anno "servirebbe qualcosa di nuovo", "bisogna modificare il percorso", "non è più al passo coi tempi", parole sempre uguali che si rincorrono. Quella che nonostante queste e nonostante tutto lascia spettatori e appassionati con la bellezza dell'incertezza sino alla linea d'arrivo.

 

 

Certo anche lei è cambiata. Certo anche lei ha visto, in qualche modo, i tempi evolversi. Certo un altro 19 marzo 1946 difficilmente ricapiterà, non ci saranno i 14 minuti difficili da riempire a parole, perché Fausto Coppi non c'è più e dopo di lui altri sono passati e altri ancora arriveranno, non ci sarà Niccolò Carosio che alla radio si serve del mestiere e annuncia "primo Fausto Coppi… e in attesa degli altri concorrenti trasmettiamo musica da ballo". Ma queste assenze sono riempite da altre presenze, che si confondono in sprint o si palesano nella disperazione di un'azione che sembra impossibile, figlie di un ciclismo che è diverso e che più non tornerà a essere vissuto da Aironi e Cannibali, Ginettacci e Sceriffi. Ma tant'è, a Sanremo, da almeno sessant'anni sono le ruote veloci a comandare, gli assoli sono sempre state magnifiche eccezioni riservati a magnifici interpreti.

 

 

Sanremo è una e trina. Vive di mare, casinò e turismo undici mesi, si accende di lustrini due volte l'anno. "E' una bella signora che non invecchia", scriveva Paolo Villaggio. A invecchiare è solo il Festival, nonostante la faccia di Baglioni, nonostante i tentativi di rendere nuovo ciò che nuovo non è. Già perché l'altra Sanremo, "La Sanremo", ancora ce la fa, ancora dell'età se ne frega, perché nell'immutabilità non sente l'avanzare dell'età. Come le cose belle che abbiamo vissuto e che abbiamo congelato nei ricordi.