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Tutti i colori di una passione: l'Eroica e l'inno alla bicicletta

Giovanni Battistuzzi

Domenica primo ottobre a Gaiole in Chianti si è corsa la ventunesima edizione della ciclostorica: un compendio di storie e soprattutto di biciclette

Gaiole in Chianti. Strade bianche è un bel dire, è un complimento: ché bianco è il colore della purezza, della perfezione, bianco è il colore dello spirito e del candore, bianco è un non colore, la somma di tutti gli altri, la luce degli angeli. Di angeli in giro però non ce ne sono, solo poveri diavoli all’inseguimento di un destino che si sono scelti, ma che, nonostante il sorriso stampato in faccia, non finiscono di maledire: ché la fatica cresce a ogni pedalata, ché la bici è di un tempo, come di un tempo le velocità, ché le facce piano piano si fanno stralunate, svuotate, mentre le bocche continuano a parlare, a raccontar esperienze, a ridere; per tutto il percorso, sino all’arrivo e lì un saluto che è una promessa: all’anno prossimo. Sempre lì, dove le strade bianche sono miraggi e scherzi linguistici; lì dove invece di sterrati ce ne sono, e tanti, ma i colori sono quelli delle terre di Siena e vanno dal grigio al beige, dall’ocra a marron, e svolazzano quando il cielo è terso, e si attaccano al suolo per diventar zampillo al passaggio delle ruote quando l’acqua decide di scender giù. Colori che vanno e tornano da Gaiole in Chianti, assieme ad altri, quelle delle maglie dei corridori, che sono esperienze diverse, come le vite che le indossano e i ricordi che richiamano: di campioni e gregari di un tempo, di altre uscite, altre persone che ne hanno indossati i vessilli. Altre storie, tante storie, un racconto solo, eroico per svolgimento, Eroica, anzi L’Eroica, per definizione.

 

 

Primo ottobre 2017. Ventunesima edizione. Le prime ruote si muovono che è ancora notte, le quattro o giù di lì. Le ultime arrivano che il buio è tornato e il campanile fa dieci rintocchi. In mezzo oltre settemila anime a dar manforte alle nemmeno tremila di Gaiole, a seguir l’andamento altalenante delle colline del Chianti, in quel lembo di terra dove la pianura non esiste perché è tutto un su e giù dolce, almeno a vederlo con gli occhi, ma altra cosa è a sentirlo con le gambe. Oltre settemila persone che vengono da ogni angolo della Toscana, da molti d’Italia, da diversi del mondo. Un groviglio di strade che si dipanano da Gaiole e portano a tutta Europa, che parlano francese, spagnolo, tedesco e inglese, che arrivano sino all’Australia. Come Rob e Desiré, che da tre anni girano l’Italia per settimane e poi, come saluto finale alle loro ferie, pedalano per oltre cento chilometri: “Ci siamo imbattuti per caso nell’Eroica durante il nostro viaggio di nozze. Da allora ci siamo sempre tornati. Quest’anno è il primo con le nostre biciclette, due Bianchi della fine degli anni Sessanta che chissà come erano finite a Sidney”.

 

L’Eroica è un compendio di storie e soprattutto di biciclette, ma che suonano tutte allo stesso modo. E’ un fruscio di pneumatici e tubolari sull’asfalto che diventa uno sferragliare di catene che saltano sui pignoni quando la strada sale, un ticchettare di acciaio quando il catrame lascia spazio alla terra e al ghiaino e i sassolini incontrano i telai delle biciclette. E’ un ritorno a quello che è sempre stato, a quelle strade che sono state percorse per secoli a piedi, a cavallo o con i carri e che da poco più di uno anche dalle biciclette. All’epoca erano solo strade, strade e basta. Sterrati, o sterri, lo sono diventati in epoca moderna, quando l’evoluzione e la necessità di velocità ne hanno scurito il percorso, per renderlo più pratico. Asfalto, cioè facilitazione allo scorrimento, base ottimale per lo spostamento. E così da quotidianità sono diventate eccezione, come eccezione è stato pensare ora di ripercorrerle in bicicletta. L’Eroica da qui parte, dall’eccezione di quelle 92 persone che nel 1997 le percorsero assieme per smaltire i rifornimenti avanzati dalla Granfondo dedicata a Gino Bartali, trasformatasi poi in eccezionale. Nel senso di spettacolo, di impresa.

 

 

In questi vent’anni e ventuno edizioni l’Eroica è cresciuta, si è allargata, da per pochi a per molti, si è moltiplicata (tre edizioni all’anno in Toscana, poi Spagna, Gran Bretagna, Olanda, sino a Sud Africa, California, Giappone, Uruguay), si è trasformata in un marchio, riconosciuto e riconoscibile. Ma non è poi cambiata molto, almeno nella sostanza. Perché ancora mantiene lo spirito di un tempo, il desiderio di farsi un giro in bicicletta, di faticare assieme, di scambiare parole sulle pedivelle e maledizioni sulle salite, di andare a passo lento, guardarsi attorno, fregarsene, il giusto, di dover mettere il piede a terra e spingere la bici. L’unico scopo è quello di arrivare, il resto non conta perché il resto non c’è. Nessun tempo, nessuna classifica, tutti primi al traguardo del mio cuore, almeno a dirla con il poeta prestato al giornalismo e al Giro d’Italia, Alfonso Gatto.

 

Una corsa che è evento, che da essere giro per colline chiantigiane che è diventato una specie di Giro d'Italia, almeno per passione, almeno per temi, almeno per entusiasmo generato e generale. Gente al traguardo che applaude, gente sulle strade che incita, tanti sconosciuti che per un giorno sembrano Gimondi e Moser. Sarà perché come la corsa rosa ha per protagoniste le biciclette, sarà perché la memoria riporta alle nubi di polvere e alle maglie e ai volti coperti di fango di Girardengo e Binda, di Coppi e Bartali, sarà perché nella storia del ciclismo ci sono stati più sterrati che asfalto. Un corsa che però allo stesso tempo è oltre il Giro d'Italia, perché i campioni delle due ruote a pedali sono qui solo un contorno alla protagonista assoluta: la bicicletta.

 

Bicicletta che sembrava essere stata dimenticata con la motorizzazione di massa, che è ritornata ora anche grazie a eventi come L'Eroica. Perché se al Giro ci arrivano gli appassionati e i curiosi, all'Eroica ci arrivano tutti, anche chi in bicicletta ci sa andare ma non la tocca.

 

E' connubio strano di ciclisti quello che si raduna a Gaiole. Gente da migliaia di chilometri l'anno, gente che di norma la usa tutti i giorni per andarci al lavoro, gente che su di una bici non ci pedala mai se non al mare in estate, gente che la bici sì, ma quando ero piccolo. Poi arriva ottobre e il viaggio assieme ad amici verso la Toscana. Poi arriva ottobre e un altro ancora. Perché si va all'Eroica e si può essere a digiuno di bicicletta, ma molte volte dall'Eroica si riparte con la certezza che le pedivelle non saranno più delle estranee. "Era da quando avevo 10 anni che non pedalavo. Quattro anni fa mio fratello mi portò qui. Lui faceva il percorso lungo, io quello breve. E' stata una scoperta. Da quel giorno ho iniziato a uscire in bici con regolarità. E quest'anno i 209 chilometri li ho finiti anch'io", ha detto al Massimo, toscano trapiantato a Berlino, ogni anno di ritorno a Gaiole fosse anche solo per un giorno.

 

Gente che pedala e pedala quasi all'unisono per chi ha sempre pedalato in testa su queste strade, tranne una volta, tranne la prima, ma solo perché nessuno glielo aveva detto. Luciano Berruti la bici se l'è portata altrove d'estate, sulle sue salite natie. Quelle d'adozione lo hanno celebrato a parole, prima, pedalando, poi e per tutto il giorno.

 

 

Lo continueranno a fare, perché l'Eroica non dimentica, non potrebbe farlo, porta con sé tutto il senso del pedalare, tutto l'amore della bicicletta. 

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