Giordano Cottur dopo la vittoria della tappa di Trieste al Giro del 1946

Cottur e la (p)resa di Trieste: meno 72 al Giro100

Giovanni Battistuzzi

Il primo Giro dopo la seconda Guerra mondiale fu l'ultimo conquistato da Gino Bartali. E prima della scalata alle Dolomiti rischiò di fermarsi in Friuli sotto una pioggia di sassi

Le biciclette correvano tra buche e paesaggi feriti di case diroccate, crollate, bombardate. Italiani contro inglesi e francesi e americani, poi camicie nere contro partigiani bianchi o rossi che fossero. Le battaglie erano finite formalmente, ma a osservare ciò che rimaneva, a sentire le accuse e la narrazione di un passato troppo fresco per poter essere archiviato, era come se le battaglie continuassero nemmeno troppo silenziosamento. Poi arrivò il Giro d’Italia e la speranza di molti era che gli scontri politici lasciassero spazio ai testa a testa tra ruote e pedali, agli scatti e alle difese, alle imprese e alle rese. Ma sportive, soltanto sportive. 

 

C’era il sole quel giorno, quel 30 giugno del 1946 quando alle 6,25 del mattino i 48 superstiti del Giro (alla partenza da Milano erano 79) partirono da Rovigo. Duecentoventotto chilometri davanti a loro, 228 chilometri di una pianura rassicurante, buoni per tenere la gamba riposata e spendere le energie rimaste allo sprint. Che di strada già se ne era fatta e parecchia. Quattordici tappe e Vito Ortelli in maglia rosa, Gino Bartali secondo e più dietro Fausto Coppi, che dalla Legnano se ne era andato per vestirsi da capitano e di celeste alla Bianchi. Coppi che era stato l’ultimo a vincere il Giro, ma una guerra fa. Coppi che nel 1940 si involò sugli Appennini e che proprio dagli Appennini questa volta era stato tradito, con una costola incrinata e una crisi che sembrava fosse avamposto per il ritiro, ma che il patron della corsa Armando Cougnet riuscì in qualche modo a evitare. 

C’era il sole quel giorno, quel 30 giugno del 1946 a battere sulla schiena del gruppo che se ne andava per Veneto e Friuli senza l’assillo della fretta, guidati dalle casacche rosse con l’alabarda sulla schiena e la scritta Wilier Triestina sul petto e sulla bici. Era la loro tappa quella tappa. Il comandamento dall’ammiraglia era chiaro: vincere. E così nessuna licenza d’uscire per nessuno. Poi ci avrebbe pensato Giordano Cottur, il capitano, che da triestino puro sapeva tutti i segreti di quel dedalo di strade che conduceva all’arrivo. 

 

C’era il sole quel giorno, quel 30 giugno del 1946 quando iniziò a piovere a Pieris, 40 chilometri dall’arrivo. Non acqua però, pietre. Sassi sui corridori lanciati da gruppi di slavi che più che i corridori volevano colpire l’Italia. Uno centrò in pieno Egidio Marangoni e gli squarciò un sopracciglio. Il gruppo si fermò, i corridori si nascosero dove riuscirono: chi dietro una macchina, chi in un fosso, chi alle spalle della polizia che intanto sparava fucilate in aria. La gara venne interrotta, la tappa finisce a Pieris, si decise. Poi il dietrofront. Si riparte. Bartali e Coppi si rifiutarono, minacciarono di tornarsene a casa. Cougnet allora decise per il compromesso. Chi voleva poteva raggiungere Trieste per conquistare il premio, scortati dai soldati americani che ancora presidiavano il territorio libero, gli altri in albergo. A tutti lo stesso tempo. 

 

Qualche avventuriero, visto l’abbandono dei campioni, salì sui furgoni dell’esercito in cerca di qualche lira. Tra loro Cottur e tutti i compagni, ma non per soldi quanto per missione. D'altra parte vestivano i colori e l’alabarda di Trieste li portavano sulla maglia, per di più con quella scritta, Wilier, che era acronimo, che era W l’Italia Libera e Redenta.

Giordano Cottur allo sprint si lasciò dietro di dieci metri Antonio Bevilacqua che velocista lo era e raffinato. Fu osannato, avvolto in una bandiera della città e portato in trionfo dalla popolazione italiana. Qualcuno gli rubò pure la bicicletta, salvo poi pentirsi e fargliela ritrovare la sera sul lungomare.

 

Per alcuni il Giro riuscì a redimere Trieste, a fargli riscoprire il suo orgoglio italiano. Per alcuni quel 30 giugno del 1946 fu l’evento che evitò lo scoppio di una guerra etnica tra titini e italiani. Ma è più leggenda che verità. I fatti riportano di un paio di sommosse con un paio di morti e poi una situazione che iniziò a risolversi senza mai risolversi davvero. Intanto il Giro da Trieste se ne era andato. Era ripartito da Udine per evitare problemi, si era arrampicato sulle Dolomiti dove Coppi era tornato Coppi, ma Bartali si era difeso abbastanza da conservare la maglia rosa.

 

Vincitore: Gino Bartali in 95 ore, 32 minuti e 20 secondi; 

secondo classificato: Fausto Coppi a 47 secondi; terzo classificato: Vito Ortelli a 15 minuti e 28 secondi; 

chilometri percorsi: 3.309.