Al Tour Rigoberto Uran mette in pratica l'insegnamento del gatto

Giovanni Battistuzzi

Il colombiano batte allo sprint Warren Barguil, in fuga dal mattino. Lo spettacolo va in scena sul Mont du Chat con l'attacco collettivo a Chris Froome, che non perde un metro. Brutta caduta per Richie Porte che abbandona la corsa

Finisce come sarebbe potuto finire in un qualsiasi pomeriggio di luglio francese, ma non oggi. Finisce con un fotofinish che fa sprint, ma di gruppo, conclusione di una peregrinazione paneggiante. E invece era montagna e dura, una via crucis di fatiche, con un tabernacolo a dividere ambizioni e progetti futuri. Erano sei ascese e altrettante planate, dodici chilometri finali buoni per annullare la fuga di Warren Barguil e l'azzardo di Romain Bardet, per lanciare la volata, per far illudere lo stesso Barguil di avervcela fatta, nonostante l'avanguardia mancata, per dare ancor più sorriso a Ciccio Uran. Primo e per solo qualche centimetro; primo e per la prima volta al Tour de France, primo e dopo due anni di difficoltà e umore nero, passato a non capire perché la gamba non si muoveva; primo e bene così, ma non ditelo a Barguil.

Arrivo che è coup de théâtre, ma solo perché siamo in Francia. Perché colpo di scena rende perfetto l'idea, quella caotica di un arrivo brutto, ma d'estetica, dopo una tappa bellissima, passata a valicar montagne onorando entrambi i lati. L'ultima uno spettacolo. E lì sì il teatro conta, tragedia, nel senso di componimento drammatico. Il palcoscenico è una lama affilata e cattiva, ingorda perché non lascia niente, non concede nulla, concentra, rapisce qualsiasi cosa. Speranze comprese. E' felina e aggressiva, Mont du Chat, e rende l'idea dell'equilibrismo. E' salita, ma sembra una plaza de toros. Battaglia ascensionale fatta di fendenti affillati alla bestia da abbattere, senza corna in questo caso, ben evidente lo stesso, di giallo vestito: Chris Froome. E' discesa, ma sembra un toboga, un vortice, una striscia di asfalto stretta e arzigogolato su se stessa.

 

Davanti gli avanguardisti partiti che era mattino, che erano tanti e via via sempre meno, che erano sogni di vittoria e di Gran premi della montagna da superare più avanti possibile per fare incetta di pois da attaccarsi alla maglia. Scatti e allunghi e tentativi di sogno. Dietro è resa di conti a naso all'insù, accerchiamento e stilettate. Il palcoscenico è inconsueto, il Massiccio del Giura, che erano isolette di coralli e grosse spugne di mare, divenute prima un susseguirsi di colline e poi di grossi panettoni, ma dai lati affilati e segnati dalla roccia, buttati lì appena sopra le Alpi. L'andamento pure: perché la Sky davanti ci resta e a lungo, ma si scioglie quando più serviva (a causa anche dell'abbandono di Geraint Thomas), quando la salita diventa malefica e malefici diventano pure i rivali della maglia gialla. Aru è foga, che se ne frega, almeno in parte, dell'invenzione moderna del fair play (Froome chiede l'intervento dell'ammiraglia e il sardo l'attacca, poi ci ripensa e non affonda). La Maglia Gialla rientra, poi inizia la mattanza.

Jakob Fulgsang allunga e lo lasciano andare. Fabio Aru allunga ma non lo lasciano andare. Poi ci provano Richie Porte e Romain Bardet e Froome chiude, da solo, perché da solo deve correre. E così si piazza davanti a tutti, inizia a menare come è solito fare, a vorticate sui pedali, che dicono frullate, ma sono frustate. Il keniano prova a involarsi come è solito, ma il gruppo buono non demorde, sta a ruota del campione, non si muove dalle sue ruote. Il resto è sparpaglio. A iniziare da Nairo Quintana, retrovia dei migliori, che saluta che ancora la salita è dura. Se il colombiano fatica, Alberto Contador sfiorisce. Il campione spagnolo fatica, diventa volto scuro e spalle che si muovono, che cercano di aiutare le gambe a fare meno fatica. La sua non è resa, ma ci va vicino. I minuti sul cronometro sono quattro, quegli sullo statino della classifica generale, cinque, la possibilità di un ribaltamento non nulle ma improbabili.

 

Il Mont du Chat è però nocchiere, guada le vette per ricongiungere le valli. E lo sa fare con la durezza di un Caronte. La discesa è un fulmine che colpisce Richie Porte e lo elimina dalla corsa. L'australiano che in salita aveva dismostrato di avere gamba e idee bellicose, all'ingiù verso l'arrivo sbaglia una curva, mette le ruote sulla terra a bordo strada, perde equilibrio e controllo, cade, fa finire sull'asfalto Daniel Martin prima di incocciare la roccia dall'altra parte della carreggiata. Porte saluta il Tour, il Tour aspetta notizie sulle sue condizioni di salute.