Simone Zaza (foto LaPresse)

Zaza non è napoletano ed El Shaarawy non è un emiro

Simonetta Sciandivasci

Uno strano automatismo intellettuale ci ha fatto credere, per settimane, che Zaza fosse napoletano, tanto che tra di noi lo chiamavamo Zazà.

Uno strano automatismo intellettuale ci ha fatto credere, per settimane, che Zaza fosse napoletano, tanto che tra di noi lo chiamavamo Zazà. Tuttavia, ci siamo impegnate per svincolarci dal pensiero associativo e abbiamo assunto, con convinzione, che il ragazzo è lucano e il suo cognome non è tronco, ma piano. Risolveremmo con altrettanta scioltezza lo choc culturale arrecatoci dalla scoperta che El Shaarawy non sia un emiro, bensì un calciatore e per giunta della nostra Nazionale, se solo le sue informazioni fenotipiche fossero più lineari. A noi sembra, a tutti gli effetti, un napulillo, per giunta uno Zazà, con quella sua cresta da spavaldo estimatore dei neomelodici. A complicare ulteriormente le cose ci si mette il fatto che il vero Zaza ha fattezze arabe. Ne consegue un pastrocchio che fa scricchiolare anche la nostra convinzione sul calciatore lucano, portandoci a chiedere se le due nuove promesse dell’Italia siano davvero due o piuttosto uno, nessuno, centomila; se siano frutto della nostra fantasia; se giochino – per ragioni oscure – a risultare interscambiabili come i falsi amici di Amleto, Rosencrantz e Guildenstern, inconsapevoli complici di un complotto.

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