Oltre il giardino

Fino al 27 ottobre, a Giarre, il Radicepura Garden Festival, la Biennale internazionale del Mediterraneo dedicata al garden design e all’architettura del paesaggio

Giuseppe Fantasia

Il giardino, come insegna la filosofia, è “grembo della vita”, è la metafora poco indagata del buon luogo offuscata dalla moderna contrapposizione cartesiana fra uomo e natura, scrive nel suo nuovo libro, “Oltre il giardino” (Einaudi), Massimo Venturi Ferriolo, ordinario di Estetica al Politecnico di Milano. È da recuperare – ricorda – nella prospettiva di un mondo migliore, accogliente, con la visione olistica della natura quale totalità di uomini, animali, vegetali e minerali, dove agisce l’etica della responsabilità contro il deterioramento del nostro pianeta, unico e irriproducibile. Ogni giardino, a sua volta, produce il giardiniere che lo abita, che lo crea ed accarezza, che lo annusa e che ne raccoglie, laddove è possibile, fiori e frutti. Quando poi incontra l’arte, che diversamente da altre discipline riesce a trasfigurare la realtà offrendone visioni parallele ed immaginarie, esso diventa pura magia, una sorta di “utopia consapevole” che da’ la percezione di un qualcosa di diverso che prima non c’era.

 

Ce ne ne siamo resi conto tornando nella bella Sicilia, lì dove c’è l’Etna che si affaccia sul mare, una terra in cui tutto cresce con l’ispirazione nell’aria, tra alberi antichi e rocce. Siamo a Giarre, a pochi chilometri da Catania, nel grande parco botanico Radicepura, teatro naturale, è il caso di dirlo, della seconda edizione del Radicepura Garden Festival, la Biennale internazionale del Mediterraneo dedicata al garden design e all’architettura del paesaggio. Per sei mesi, fino al 27 ottobre prossimo, in quegli spazi che ricordano un’Isola che non c’è in una che esiste per davvero, sarà possibile visitare i quattordici giardini e le quattro installazioni realizzate appositamente con le piante più originali coltivate da Piante Faro, un mondo più che vivaio visto che coltiva, su seicento ettari, ottocento specie e oltre cinquemila varietà di piante grazie all’attività portata avanti da cinquant’anni da Venerando Faro e dai suoi figli, Mario e Michele.

 

Dopo aver partecipato a “In Scena”, l’allestimento ideato da Paola Lenti in occasione dell’ultimo Salone del Mobile e in attesa di vedere “La fontana di Orticola” alla prossima edizione della kermesse milanese (dal 17 al 19 maggio prossimi), molte di quelle piante sono state utilizzate per quell’eden in cui le stesse trovano casa come nel giardino di Alcinoo narrato da Omero, quello in cui crescevano “grandi alberi rigogliosi, peri e granati e meli con splendidi frutti, fichi dolcissimi e piante rigogliose d’ulivo” con i suoi frutti perenni come in una eterna primavera. Antonio Perazzi e Andy Sturgeon, autentiche “star” nel mondo discreto e sofisticato del paesaggismo internazionale, sono partiti proprio da quell’idea per realizzare appositamente per il festival – promosso dalla Fondazione Radicepura – i loro due giardini site-specific superiori ai trecento metri quadrati ciascuno. Il primo, Home Ground, è stato pensato da Perazzi “come un posto speciale in cui tutti gli elementi sono capaci di raccontare – spiega al Foglio – una storia siciliana, italiana, mediterranea, marina e vulcanica”. Il suo è la “Terra di casa”, un giardino con pietra di basalto e piante tropicali (splendida l’Erytrina con i suoi fiori rossi) che è capace di dare forma e prendere la forma delle piante rispettando la permeabilità e la fotosintesi. Ad impreziosirlo, ci sono gli aforismi di Gaetano Zoccali - da “Non voltare le spalle allo scirocco: vola sulle sue ali” a “Guarda i tralci della passiflora: fanno di tutto per venirti incontro” – scritti su lastre di cemento immerse nell’acqua che nei giardini siciliani (e non solo in quelli) è un elemento prezioso, un qualcosa da cui tutto dipende, come ci ricorda Sturgeon, uno dei più importanti designer britannici. Nel suo “Layers”, tra pareti lisce e scultoree, ha creato una vera e propria riflessione sulla dipendenza dell’uomo dal mondo naturale per il procacciamento del cibo, acqua e riparo. Per farlo, si è ispirato all’anatomia delle piante e la sua, come ricorda il titolo dell’opera, è una storia “a strati” tra pareti che sembrano scorrere lungo il pendio nel quale si evince la presenza dell’Etna, “una montagna buona”, come ce l’ha definita Venerando Faro.

 

Nel parco, a distanza di due anni, abbiamo ritrovato più belli e rigogliosi che mai, i due giardini proposti nella passata edizione da Michel Péna – “Tour d’Y Voir” – un giardino che permette al visitatore di ascoltare il suono del paesaggio - e da James Basson, “Artehusa and Alpheus” – basato su quel mito che unisce simbolicamente la Grecia e la Sicilia attraverso la storia del dio Alfeo, figlio del dio Oceano e personificazione del più grande fiume del Peloponneso, e della ninfa Aretusa. A completare gli allestimenti, ci sono poi gli interventi degli artisti Renato Leotta, che si muove tra Torino e Acireale, e Adrian Paci. Il paesaggio mediterraneo è il tema centrale soprattutto delle installazioni dell’artista albanese, i cui lavori, segnati dall’esperienza dell’emigrazione, riprendono i temi legati alla casa e ai legami familiari, al nomadismo culturale come alle dinamiche di controllo sociale.

 

Altri dieci giardini, di circa cinquanta metri quadrati ciascuno, sono stati realizzati da giovani paesaggisti stimolando il dibattito su design del paesaggio e sostenibilità. Restando sempre legati al mito, molto particolare è “Polifilo incontra Candido nell’isola di Citera”, un giardino in cui Marco Vomiero, studente di architettura del paesaggio al politecnico di Berlino, fa incontrare due personaggi letterari e le loro esperienze in uno spazio che ricorda un caffè letterario all’aperto, tra agrumi e piante aromatiche. “Come back to Itaca”, del laboratorio NaCi Team, custodisce invece piccole barchette di carta sospese nell’aria grazie a dei fili trasparenti con su scritto la celebre poesia di Kostantinos Kavafis. “Il giardino della signora”, che celebra la tematica del suolo nell’ambiente siciliano, è stato progettato e realizzato dal paesaggista francese Guillame Server ed è uno dei più eleganti. “The Babylonian cradle”, di Elena Gazzi e Peter Grant, è il più originale, quello che resta di più nella memoria di chi lo visita. “I giardini babilonesi furono costruiti per Ishtar, la Dea dell’amore e della guerra, figlia della luna e sorella del sole”, ci spiegano i due giovani paesaggisti che lavorano insieme sin da quando erano all’università. “Spesso rappresentiamo il giardino con estrema bellezza – aggiungono - e ci dimentichiamo che fu creato per soddisfare i bisogni essenziali primari”. In quella “culla” babilonese, assieme a Vito Palmeri, direttore dei lavori al Radicepura, troviamo dei grandi e comodi cuscini rossi, il posto perfetto su cui sedersi sorseggiando del vino bianco gelato tra profumo di menta - che ci rende impazienti di dissetarci - e di limoni - che risvegliano un po’tutti i nostri sensi mentre le palme, sostenute da vasi di coccio colorati di rosso, giallo senape e blu ottanio, spiccano verso l’alto rimanendo l’unico lusso estetico in quel luogo. Lì capiamo quello che sostiene Venturi Ferriolo, la possibilità di coltivare un mondo trasformato dove l’uomo è ricongiunto alla natura, un mondo libero dall’ossessione dello sviluppo, che sia sostenibile o no, un cosmo esonerato da ogni dogmatica rigidità cartesiana per essere abitato poeticamente con la sua antica azione più rispettosa.

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