Biagio De Giovanni

Filosofeggiando con… BIAGIO DE GIOVANNI

Davide D'Alessandro

“Non possiamo vivere nell’euforia dei diritti, nell’euforia delle individualità disperatamente solitarie. L’Europa non può permetterselo. Vi è la potenziale fine di un’idea. Il panorama è sconfortante, la crisi aperta, la democrazia rappresentativa in agonia. Qualcosa muore e non si intravede ciò che potrà nascere. Benedetto Croce è il filosofo che ci parla oggi più che mai”

Quali figure filosofiche e politiche chiamerebbe a raccolta per illuminarci sul complicato tempo presente?

Hans Kelsen e Winston Churchill.

Perché il primo?

Perché Kelsen può indicare il cosmopolitismo, il dover essere del normativismo, libero dalla territorialità e dalla spazialità, mentre Schmitt è il richiamo del nomos, l’impossibilità della spazializzazione della decisione politica. In realtà, avremmo bisogno di entrambi: del dover essere, ma anche del nomos della terra. Non possiamo vivere nell’euforia dei diritti, nell’euforia delle individualità disperatamente solitarie. L’Europa non può permetterselo.

E il secondo?

Perché disse che non si poteva cedere a Monaco, perché aveva una gigantesca capacità di gestire i processi storici.

L’Europa ha smarrito il suo ruolo?

Sì, poiché vive una contraddizione rilevante tra l’enorme quantità di Europa che c’è (moneta, mercato, primato dell’ordinamento giuridico, libera circolazione: si pensi alla eccellente possibilità dell’Erasmus per i giovani) e la disgregazione delle entità politiche che formano questa Europa. Vi è la potenziale fine di un’idea. Se ciascuno tende a dire che basta a sé stesso, l’esito diventa facilmente immaginabile. Esiste ancora l’Occidente? Se me lo chiede, non so rispondere…

Se non sa rispondere lei…

Io origlio alla porta dei filosofi. Il potere non va demonizzato e attribuisco alla normatività un valore immenso. Vengo da Giurisprudenza, dove mi hanno insegnato come funziona lo Stato. Ho avuto come maestro Angelo Cammarata. Era stato un brillante allievo di Giovanni Gentile. Se ne distaccò quando Gentile nel 1925 redasse il manifesto degli intellettuali fascisti. E gli chiese: ‘Maestro, tra le tante cose straordinarie non ci avevate insegnato anche la libertà?’. Però Gentile è anche l’autore di Sistema di logica come teoria del conoscere. Heidegger è l’autore dei Quaderni neri, ma anche di Essere e tempo. Nella drammatizzazione tra filosofia e politica vi è il respiro e l’opera di grandi pensatori. Oggi il panorama è sconfortante, la crisi aperta, la democrazia rappresentativa in agonia. Qualcosa muore e non si intravede ciò che potrà nascere.

Viviamo davvero in una democrazia illiberale?

Come è errato ritenere che democrazia e dispotismo siano costitutivamente opposte, è errato ritenere che democrazia e liberalismo possano andare comodamente a braccetto. Nella seconda parte del secolo scorso hanno trovato un miracoloso equilibrio. Ora, con la fine delle mediazioni, si è creato un vuoto spaventoso e i vuoti vanno riempiti. Per esempio, dallo Stato-popolo la cui sovranità si incarna nella sua esistenza immediata. Ma se saltano i corpi intermedi, le spinte che provengono dal basso sono recepite o manipolate dall’alto senza mediazioni.

Teme un pericoloso ritorno al passato?

I ritorni non avvengono mai allo stesso modo. Ho letto la sua intervista a Vattimo e ho colto la paura di un nuovo autoritarismo. Certo, esistono somiglianze e connessioni con il diciannovismo: una sorta di agitazione generale, una scomposizione delle masse sociali, uno stravolgimento delle istituzioni, un decadimento della funzione dell’Italia in Europa.

Lei ha più volte sostenuto che un’inchiesta giudiziaria, in Italia, ha abbattuto la democrazia dei partiti. I guai cominciano lì?

È stato raso al suolo un intero sistema politico e l’Italia, ancora una volta, ha anticipato la crisi della fine del secolo socialdemocratico. Anche oggi il nostro Paese rappresenta un laboratorio particolare, di fondamentale importanza, un fenomeno del tutto originale con un partito e un movimento che, con programmi elettorali diversi, hanno una interpretazione comune della congiuntura, costituente la forza del loro stare insieme. Governo e opposizione stanno all’interno, tutto dentro. Fuori non c’è alcunché. Ecco perché prevedo un governo di lunga durata, salvo un collasso di natura economica che, vorrei dirlo con estrema chiarezza, non mi auguro affatto.

La politica risolve i problemi o li pone?

La politica non deve risolvere problemi. La politica sta dove nascono le domande. Ma è una politica sempre meno programmatica, sempre più estemporanea e viscerale. Priva di ragionamento, di pensiero.

Priva di un Benedetto Croce…

Eh, ho parlato di Schmitt e Churchill, ma don Benedetto ci starebbe bene. Quanto ci manca! Abitavo a duecento metri da Palazzo Filomarino, frequentavo il Liceo Genovesi, vedevo il Senatore uscire con il bastone e incamminarsi verso le librerie antiquarie. Lo seguivo. Eravamo tutti crociani. Poi, per tanto tempo lo abbiamo dimenticato. Nel 2016, grazie all’inaugurazione del 150°, ho tenuto una prolusione sul concetto speculativo di libertà; poi, ci ho lavorato intensamente e ne ho fatto un libretto appena pubblicato. Siamo di fronte a una mente inquieta, una coscienza tragica che entra in maledetta sofferenza quando, soprattutto dopo il ’30, si acuisce la possibilità della fine dell’Europa. Husserl, Schmitt, Heidegger, Croce erano tutti eurocentrici ed entrano in una crisi profonda quando entra in crisi l’idea di Europa come centro del mondo, quando si percepisce che l’Europa non è più il centro che struttura l’organizzazione e il pensiero del mondo. Croce parla improvvisamente di finis europae. Dice che ha bisogno della speculazione, della filosofia. Torna la necessità di pensare il mondo, non più di raccontare i suoi esiti in una storiografia risolta, dove l’azione sta sempre dentro l’accadimento, il particolare dentro l’universale. Croce diventa il filosofo della vitalità. I mondi della vita diventano mina vagante, non riescono a essere compresi e saputi dalla storia. Diventa il filosofo che ci parla oggi più che mai.

E adesso?

Adesso mi rifugio in Hegel e Vico, tra Fenomenologia dello spirito e Scienza nuova, gli unici due pensatori moderni che aprono il problema del senso della storia. Ho scritto nove libri in undici anni, gli ultimi dedicati a Marx e a Croce. L’ho fatto con grande passione, con assoluta convinzione. Ora tutto appare separato, scisso, diviso. Vi è assenza di prospettiva e vedo che, ogni tanto, sparisce qualche pozzo di scienza. Penso a Peppino Galasso. Il mondo si impoverisce terribilmente. Questi signori non vengono sostituiti e ti prende un po’ di sconforto misto a depressione.

Ma Napoli, da questo terrazzo di via Mergellina, è uno splendore…

Sì, ma Napoli è stato uno dei cuori della cultura nazionale. Oggi non si distacca da sé, non incide più sulla cultura nazionale, ha un vitalismo confuso, senza forma. Ha perso le mediazioni della borghesia, è diventata un’altra cosa. Non è più una città pubblica, ma sotterranea.

Resta il Napoli…

Che continua a farmi soffrire. Dopo l’eliminazione in Champions, da parte del Liverpool, ho passato una notte al Cardarelli per una fibrillazione atriale. Ora la speranza è l’Europa League. Come vede, c’è sempre di mezzo l’Europa!