Martin Heidegger

Martin Heidegger, la luce nell'abisso

Davide D'Alessandro

Il libro di Eugenio Mazzarella dimostra che la domanda del grande filosofo tedesco resta aperta. L’operazione di marketing editoriale non riesce a smontare la sua potenza teoretica. I “Quaderni neri” sono soltanto il resoconto di una desolazione, di una lunga obnubilante frustrazione di pensiero

Esiste Heidegger, il più importante filosofo del Novecento, ed esiste il tentativo, maldestro e non riuscito, di schiacciare l’uomo e l’opera, tutto compreso e compresso, sul nazionalsocialismo e sull’antisemitismo. Ma il filosofo tedesco, che s’interroga sui fondamenti, sullo stare al mondo, che si confronta con la morte senza infingimenti, che scava alle radici del pensiero, che tenta di maturare, dopo la crisi dell’Europa, una grande visione del mondo, che pure inciampa e cade su un’adesione indiscutibile, resiste e non si lascia incamiciare. Quaderni rivestiti da una tela incerata di colore nero. E se la tela fosse stata di colore rosa? Avrebbero assunto la stessa connotazione e drammaticità? Certamente avrebbero avuto un altro titolo, ma i Quaderni neri sono annotazioni, appunti, il resoconto di una desolazione, il filosofo che perde lucidità, che precipita dalla sua altezza sognando il riscatto del popolo tedesco, il buchetto nero, la macchietta nera, di chi prima s’acconcia, poi rinsavisce. C’è un primo Heidegger, immenso, e c’è un ultimo Heidegger, altrettanto immenso. In mezzo c’è questo vuoto che, a periodi alterni, una certa critica tenta di riempire di sostanza per colpirlo, trafiggerlo e affondarlo, per mettere in scena una sorta di Norimberga a scoppio ritardato. Ma Heidegger resiste. E resiste perché anche nell’abisso risplende la luce della sua innegabile intelligenza, della sua potenza teoretica. Sottoporlo a processo vuol dire, per Marcello Veneziani, ridurre «ogni pensiero dell’Essere a violenza e sterminio, l’identificazione tra razzismo e radici, la traduzione dell’amor patrio in xenofobia o dell’amore per la terra e la famiglia in Blut und Boden, la criminalizzazione dell’ontologia. Che è poi l’opposto della realtà: è lo sradicamento a evocare già in sé un atto violento, non l’amore per le radici. Perciò diffidiamo del perdurante processo a Heidegger, che diventa un processo permanente contro ogni pensiero forte e ontologico. È la reductio ad hitlerum di ogni pensiero che non accetti come suo orizzonte lo sradicamento, la desacralizzazione e lo snaturamento del mondo nel nome della sua liberazione. La Norimberga del pensiero mortifica la libera intelligenza e punisce ogni tentativo di superare la notte del Nulla».

Ma è Eugenio Mazzarella con Il mondo nell’abisso. Heidegger e i Quaderni neri, Neri Pozza editore, dedicato alla cara memoria di Giuseppe Galasso,  a smontare con efficacia quella che definisce un’operazione di marketing editoriale: «Con questa riaccesa querelle su “Heidegger e il nazismo”, e più ancora sul suo “antisemitismo istoriale”, siamo nelle secche di questa scolastica, sia pure dal lato opposto: non dell’encomio immotivato che scusa, ma dell’oltraggio inutile a un vicolo cieco del pensiero di Heidegger. Giacché credo che nessun interprete dotato di buon senso possa ritenere che sul terreno degli eventi o anche solo sull’ideologia del Reich – il nazismo e la sua politica, anche nei riguardi degli ebrei – Heidegger abbia avuto un qualche ruolo. Politicamente, e ideologicamente (per lui biologismo e principio della razza saranno sempre pura volgarità filosofica, nei Quaderni neri espressione dell’epoca della brutalitas dell’essere, dove è assente la “meditazione” e l’uomo come ente è ridotto al factum brutum della “vita”), Heidegger per il regime nazista non contava niente già dal ’33, ammesso che avesse mai contato. I suoi giudizi, pertanto, tanto più allo stato di commento “privato”, sugli eventi cui partecipava osservando, andrebbero in generale presi alla fine per quello che sono: una lunga obnubilante frustrazione di pensiero; in definitiva i contorcimenti di un piccolo borghese tedesco nazionalista frustrato nel suo nazionalismo dagli esiti di due guerre mondiali disastrosamente perse».

Ciò non vuol dire minimizzare, giustificare o ridurre a nulla il peso di una scelta terribile, ma per Mazzarella «è inutile perderci tempo per poter studiare quel che di lui conta sul piano della storia del pensiero, e che resta tanto. Aiutarlo a diventare, più di quanto si sia aiutato da solo, lo zimbello di sé stesso non serve a nessuno; né alla filosofia, né alla memoria della Shoah, che è argomento troppo serio per tornare a confrontarsi, ogni due o tre lustri, con lo Heidegger che non serve a nessuno, neanche a sé stesso, quale è quello messo in piazza dalla pubblicazione dei Quaderni neri».

Per l’autore c’è qualcosa di più che emerge dai Quaderni neri, qualcosa di più di Heidegger e la politica, di Heidegger e il nazismo, di Heidegger e gli ebrei. Emerge una sorta di abbuiamento gnostico. Spiega Mazzarella: «Un abbuiamento gnostico che è il consegnarsi della gnosi esistenziale di Essere e tempo della privatezza dell’Esserci, della singolarità esistente, a una gnosi che si slarga, e si inabissa, nel “politico”, perdendo insieme a sé il mondo che voleva “salvare”, portare a un “nuovo inizio”. […] Un abbuiamento gnostico in cui il mondo – l’universa totalità del presente del mondo sdivinizzato della modernità della tecnica, dell’epoca ridotta a immagine – non ha più nulla della venerabilità tuttavia del kósmos greco, del cosmo della gnosi antica; e per converso nessuna venerabilità, rintracciabile in una voce della coscienza che lo richiami a sé stesso, ha più l’esistenza (l’uomo di questo mondo, sia pure innanzi tutto e per lo più consegnato all’inautenticità) come possibilità, sia pure “rara”, nel fenomeno dell’angoscia, di angoscia essenziale, di autenticità. E su cui fortunatamente per noi e per l’ultimo Heidegger – che non è questo editoriale della “pubblicazione” dei Quaderni neri – uscito dalla crisi ontologica degli anni Trenta-Quaranta, ha riacceso una luce, che è l’unica che valga tenere accesa agli studi. Lungo il filo dell’ineludibile storicità della domanda sull’essere che o coinvolge noi nelle onde della natura e della storia o è una pura vacatio – vuoto e vacanza – del pensiero».

Una luce nell’abisso, dunque, una luce che resiste nel teatro filosofico, mentre alcuni studiosi tentano di spegnerla. Mazzarella, con i diciannove passi nella filologia (La presa di posizione di von Herrmann) e la crisi della domanda dell’Essere nei Quaderni neri, dimostra che la domanda di Heidegger resta aperta: «Il “mondo” è fuori di sesto; esso non è più un mondo, o per dirla in modo più veritiero: esso non è ancora mai stato un mondo. Noi siamo soltanto nella sua preparazione». Ma la preparazione impone serietà e intelligenza. Le curve da stadio non si addicono alla filosofia.