Seneca

Seneca morale, la filosofia che regola la vita

Davide D'Alessandro

Il linguaggio della verità è semplice. La classe è semplicità. Perdersi tra le sue pagine vuol dire ogni volta ritrovarsi, accedere a un piano superiore di virtù e conoscenza, a quel silenzio alto, mai banale, dove la vita ci attende. Dopo oltre duemila anni, “se vuoi avere la vera libertà, devi farti servo della filosofia”

Se avessi ascoltato Seneca, questa rubrica non sarebbe mai nata. Scrive infatti a Lucilio: «Ma bada che anche il tuo leggere molti autori e libri di ogni genere può essere una forma di incostanza e di instabilità. Bisogna che tu ti soffermi su un limitato numero di autori e di questi nutra la mente, se vuoi ricavarne un profitto che rimanga durevolmente nel tuo animo. Chi è dappertutto non è in alcun luogo. A chi passa tutta la vita viaggiando accade di avere molte conoscenze, ma nessuna amicizia; lo stesso accade inevitabilmente a chi non si dedica intensamente allo studio di nessun autore, ma legge tutto in fretta e con impazienza». E ancora: «Non giova e non viene assimilato il cibo che, appena ingerito, viene subito rigettato; niente ostacola tanto la guarigione quanto il frequente cambiamento di medicina. Non riesce a cicatrizzare una ferita sulla quale si continua ad applicare medicamenti; non si fortifica una pianta che viene spesso trapiantata; niente è così efficace da poter giovare solo passando. La moltitudine di libri serve solo a distrarre; perciò, poiché non potresti leggere quanto potresti avere, ti basti avere quanto puoi leggere». Immenso Seneca, continua: «”Ma”, dirai, “a me piace sfogliare ora questo ora quel libro”. Assaggiare molti cibi è proprio di uno stomaco nauseato; i cibi vari e contrari infettano, non nutrono. Leggi, quindi, sempre autori di valore riconosciuto, e, se talvolta ti piacerà rivolgerti ad altri, fa’ poi sempre ritorno ai primi. Procurati ogni giorno un ausilio contro la povertà, contro la morte e contro le altre calamità; e, quando avrai percorso molte letture, estrai un pensiero da assimilare per quel giorno».

Eccolo, il pensiero o i versi da assimilare per oggi. Sono quelli di Dante, dal valore riconosciuto, i versi del IV canto, Inferno: «Tutti lo miran, tutti onor li fanno: quivi vid’ïo Socrate e Platone, che ’nnanzi a li altri più presso li stanno; Democrito che ’l mondo a caso pone, Dïogenès, Anassagora e Tale, Empedoclès, Eraclito e Zenone; e vidi il buono accoglitor del quale, Dïascoride dico; e vidi Orfeo, Tulïo e Lino e Seneca morale». Tra tutti gli altri spicca quel Seneca morale, che mi tenne avvinto alla Commedia, sui banchi del Liceo, e ancora avvinto mi tiene insieme a Tutte le opere. Dialoghi, trattati, lettere e opere in poesia del filosofo di Corduba, edito da Bompiani. Se la filosofia di Seneca è una terapia dei mali dell’anima, come Giovanni Reale titola il suo sapiente saggio introduttivo, non è possibile abbandonarlo e, anche quando me ne distacco per leggere una moltitudine di altri autori e scriverne in filosofeggiodunquesono, a lui faccio ritorno inesorabilmente ogni sera prima di chiudere gli occhi alla notte.

Chiede Reale: «Quali sono le ragioni del successo di Seneca, oltre ai contenuti del suo messaggio?». E risponde: «Sono senza dubbio la chiarezza e la semplicità strutturale dei modi in cui Seneca comunica il suo messaggio. Accade non poche volte che la filosofia venga identificata con una forma di conoscenza difficile e quindi oscura. E, d’altra parte, non sono mancati in passato e non mancano tuttora filosofi che si esprimono in modo assai complesso e oscuro, con tutta una serie di conseguenze negative che questo comporta. Ma, se si prescinde dal fatto che la capacità di esprimersi con chiarezza è una dote che se non si ha per natura ben difficilmente si può acquisire (Kant è uno degli esempi più significativi a questo riguardo), resta pur sempre innegabile che la verità (o per lo meno le verità supreme e ultimative che riguardano la vita dell’uomo), se e quando la si raggiunge, può e deve essere espressa con chiarezza e semplicità».

Il linguaggio della verità è semplice, scrive Seneca. La classe è semplicità. Perdersi tra le sue pagine vuol dire ogni volta ritrovarsi, accedere a un piano superiore di virtù e conoscenza, a quel silenzio alto, mai banale, dove la vita ci attende. Dopo oltre duemila anni, «se vuoi avere la vera libertà, devi farti servo della filosofia». Dopo oltre duemila anni, l’invito di Seneca alla filosofia resta un messaggio di inestimabile valore e incomparabile bellezza: «La filosofia non è un’arte popolare o fatta per essere ostentata; consiste non in parole, ma in fatti. E non la si usa per trascorrere piacevolmente le giornate o per scacciare la nausea che viene dall’ozio: forma e plasma l’animo, regola la vita, governa le azioni, siede al timone e dirige il corso in mezzo ai pericoli del mare in tempesta. Senza di essa nessuno può vivere tranquillo, nessuno sicuro».

La filosofia va frequentata, dalla filosofia si può essere toccati e illuminati: «Chi frequenta un filosofo porti via con sé, ogni giorno, qualcosa di moralmente positivo: torni a casa più sano o più sanabile. E tornerà senz’altro così: la forza della filosofia è tale da giovare non solo a chi la coltiva, ma anche a quelli che hanno con essa una certa familiarità. Chi si mette al sole, anche se non si è recato in un luogo assolato proprio per questo scopo, si abbronzerà; chi si è seduto in una bottega da profumiere e vi è rimasto un po’ a lungo, porta via con sé l’odore di quel luogo; e coloro che hanno frequentato la scuola di un filosofo, ne avranno ricavato necessariamente qualche vantaggio, anche se non si sono impegnati come si deve. Bada bene alle mie parole: ho detto: “non impegnati come si deve”, non ho detto “recalcitranti”».

Chiude Reale: «Seneca ha saputo accettare veramente da saggio quello per lui era il peggiore di tutti i mali, ossia ha affrontato la morte con animo equilibrato e calmo. Il dono che Seneca diceva di voler lasciare ai suoi cari, dopo la morte impostagli da Nerone, era “l’immagine della sua vita”. E questa immagine resta davvero il meglio da lui lasciato ai posteri. È l’immagine di colui che cerca, pur fra tutte incertezze e contraddizioni, di togliere ogni giorno un po’ di mali dall’animo e cauterizzarne le ferite, in modo da giungere al momento ultimo della vita in armonia con ciò che vuole il destino, ossia pronto ad accettare volontariamente (e quindi in modo stoico liberamente) ciò che necessariamente il destino costringe a subire».