Giorgio Agamben

Giorgio Agamben, un'opera filosofica

Davide D'Alessandro

Da Quodlibet nove libri del filosofo romano in un unico volume. Circa millequattrocento pagine per trasmettere il senso compiuto di un pensiero. Tutto ebbe inizio con “Homo sacer. Il potere sovrano e la nuda vita” e “Iustitium. Stato di eccezione”

Raccogliere nove libri in un unico volume di circa millequattrocento pagine significa trasmettere il senso compiuto di un pensiero e di un’opera. È il caso di Quodlibet, che manda in libreria Homo sacer, edizione integrale 1995-2015, di Giorgio Agamben. All’interno trovate: Homo sacer. Il potere sovrano e la nuda vita; Iustitium. Stato di eccezione; Stasis. La guerra civile come paradigma politico; Horkos. Il sacramento del linguaggio. Archeologia del giuramento; Oikonomia. Il Regno e la Gloria. Per una genealogia teologica dell’economia e del governo; Opus Dei. Archeologia dell’ufficio; Auschwitz. L’archivio e il testimone; Altissima povertà. Regole monastiche e forma di vita; L’uso dei corpi.

In un’intervista con Antonio Lucci, il filosofo romano spiega il motivo della pubblicazione e precisa: «Nel pensiero, come nella vita, non è facile sapere che cosa è definitivamente chiuso e che cosa è ancora aperto. Una genealogia della politica occidentale come quella che ho intrapreso in Homo sacer potrebbe continuare senza fine. In questo senso, l’opera compiuta è sempre un frammento. L’apparenza di compiutezza di un’opera è dovuta piuttosto a ragioni per così dire architettoniche e stilistiche ed è soltanto perché l’edificio mi sembrava aver raggiunto una forma coerente che ho potuto abbandonarlo. Un’integrazione in senso tecnico è la lunga nota di quindici pagine sul concetto di guerra che ho aggiunto a Stasis in questa edizione. Ma preferisco considerare altre ricerche che ho pubblicato e potrò eventualmente pubblicare in futuro come opere autonome. Del resto ognuno dei nove volumi qui raccolti era nato con una vita propria e la loro composizione in un insieme non segue soltanto criteri logici e concettuali. Se il primo livello di una composizione filosofica è certamente concettuale, l’ultimo, come ricordava Benjamin, è di ordine musicale».

Tutto ebbe inizio con Foucault. Per il filosofo francese, la politica è la produzione dei soggetti che può dar conto della complessità del rapporto di governo. Le tecnologie disciplinari e normalizzanti sono modi di esercizio di una nuova forma di potere/governo delle vite, che il potere sovrano non può esercitare totalmente. Queste due forme, che si contrappongono, si articolano reciprocamente fino alla fine della sovranità, quando esplode la biopolitica. Tutto ebbe inizio con Homo sacer. Il potere sovrano e la nuda vita e, a seguire, con Iustitium. Stato di eccezione. Per Agamben, il reale significato della biopolitica è l’implicazione della vita nel potere sovrano. Il suo tema centrale è il passaggio da zoé (vita dell’essere vivente, vita naturale) a bíos (modo di vita politico, vita qualificata politicamente), il rapporto nuda vita-esistenza politica (zoé-bíos), esclusione-inclusione, è cruciale all’interno della politica occidentale. L’uomo è il vivente che, nel linguaggio, separa e oppone a sé stesso la propria nuda vita e insieme si mantiene in rapporto con essa in un’esclusione inclusiva: ciò permette che vi sia politica. A fondamento della politica c’è la costituzione di una vita nuda, una vita che oltre a essere naturale è anche presa fuori, in un rapporto con il potere sotto il quale si mantiene. Potere sovrano e nuda vita si trovano in questa relazione di eccezione (presa fuori), la nuda vita àncora il potere e ne rende possibile l’esercizio; l’eccezione è una cattura: «Chiamiamo relazione d’eccezione questa forma estrema della relazione che include qualcosa unicamente attraverso la sua esclusione».

L’eccezione, come inclusione alla vita attraverso la sua esclusione, è l’atto che rivela la struttura della sovranità. Per Agamben, il biopotere si radica nella sovranità, che è strutturata sull’eccezione della vita nuova; lo Stato moderno, con la vita biologica al centro, fa luce sul collegamento fra potere e vita, che diventa lo spazio politico stesso. Per il fatto di collocarsi contemporaneamente all’interno e all’esterno dell’ordinamento giuridico, il sovrano si trova in una situazione paradossale. In che cosa consiste il paradosso? Agamben sostiene che il sovrano, avendo il potere legale di sospendere la validità della legge, si pone legalmente al di fuori di essa. Si tratta di una paradossale ‘esclusione inclusiva’, come quella implicita nel potere di proclamare lo stato di eccezione.

Secondo Carl Schmitt, il potere sovrano è ‘monopolio della decisione ultima’, ossia della decisione intorno alla sospensione dell’ordinamento giuridico normale attraverso la proclamazione dello stato di eccezione. Il sovrano segna il limite dell’ordinamento giuridico essendo fuori e dentro lo stesso. L’eccezione è la forma originaria del diritto, il presupposto delle coordinate giuridiche fondamentali: ordinamento e localizzazione. L’ordinamento dello spazio, in cui per Schmitt consiste il Nomos sovrano, non è solo «presa della terra, fissazione di un ordine giuridico e territoriale ma, innanzitutto, presa del fuori, eccezione».

Dal momento che la norma si applica all’eccezione disapplicandosi, la relazione di eccezione è la forma estrema della relazione che include qualcosa unicamente attraverso la sua esclusione. Da ciò deriva che «la situazione, che viene creata nell’eccezione, ha pertanto questo di particolare, che non può essere definita né come una situazione di fatto, né come una situazione di diritto, ma istituisce fra queste una paradossale soglia di indifferenza». La norma giuridica, essendo generale, deve valere indipendentemente dal caso singolo. Se il linguistico, per esistere, presuppone il non-linguistico, la legge acquista senso solo riferendosi a un non-giuridico, che è lo stato di eccezione. Nota Agamben: «L’eccezione sovrana (come zona d’indifferenza fra natura e diritto) è la presupposizione della referenza giuridica nella forma della sua sospensione». In ogni norma è implicito il riferimento alla trasgressione (come stato di eccezione). Tra eccezione ed esempio, continua Agamben, potrebbe anche ravvisarsi qualche affinità, ma mentre la norma è esclusione inclusiva, l’esempio, al contrario, funziona come inclusione esclusiva.

In Schmitt, la sovranità si presenta nella forma di una decisione sull’eccezione. Che lo stato di eccezione sia eminentemente appropriato alla definizione giuridica della sovranità ha una ragione sistematica, di logica giuridica. Infatti, la decisione intorno alla eccezione è decisione in senso eminente, poiché una norma generale, contenuta nell’articolo di legge normalmente vigente, non può mai comprendere un’eccezione assoluta e non può perciò neppure dare fondamento pacificamente alla decisione che ci si trova di fronte a un vero caso d’eccezione. In altri termini, in Schmitt la struttura ‘sovrana’ della legge ha forma di uno stato di eccezione in cui fatto e diritto sono indistinguibili e in cui la vita, implicata nella sfera del diritto, esiste solo presupponendo un’eccezione alla sua stessa natura. L’eccezione è così la struttura della sovranità, la quale è a sua volta la struttura originaria in cui il diritto si riferisce alla vita e la include in sé attraverso la propria sospensione. Lo stato di eccezione è uno spazio vuoto di diritto,  come il riferimento allo iustitium insegna. Lo stato di eccezione «ha assunto oggi il suo massimo dispiegamento planetario. L’aspetto normativo del diritto può essere così impunemente obliterato e contraddetto da una violenza governamentale che, ignorando all’esterno il diritto internazionale e producendo all’interno uno stato di eccezione permanente, pretende tuttavia di stare ancora applicando il diritto». Il finale non lascia spazio ai sogni: «Dallo stato di eccezione effettivo in cui viviamo non è possibile il ritorno allo stato di diritto, poiché in questione ora sono i concetti stessi di stato e di diritto».