Roberto Esposito

Roberto Esposito, i termini della politica

Davide D'Alessandro

Il filosofo napoletano ci propone, dall’interno del suo laboratorio, due volumi per ridefinire i confini di un pensiero senza confini. È il paradigma del conflitto la figura più politica e più vera dell’Italian Thought

Roberto Esposito ridefinisce i confini di un pensiero senza confini. Dall’interno del suo laboratorio filosofico ci propone due volumi, editi da Mimesis, per una ricalibratura di un percorso iniziato tanti anni fa con i termini Comunità, Immunità e Biopolitica. In verità, il primo volume di Termini della politica fu edito nel 2008 con una esemplare introduzione di Timothy Campbell. Ritorna oggi accompagnato da un secondo volume, inedito, che affronta tre parti: persone, cose, corpi; pensiero italiano e filosofia europea; pensiero e politica.

Piaccia o non piaccia è il resoconto di un’opera che esiste e insiste, capace di farsi largo e di affermarsi in mezzo a tanti mugugni e qualche punta d’invidia, capace di attraversare i confini, di andare ben oltre i confini, capace di stimolare acute riflessioni, di farsi pensiero per altri pensieri in giro per il mondo. È l’Italian Thought, bellezza! È possibile, dopo la German Philosophy e la French Theory, parlare di un Italian Thought? Chiarisce Esposito: “La risposta non può essere che estremamente prudente. In questo caso non si può parlare certo di egemonia e neanche di una dislocazione materiale – ma del fatto che il successo di alcuni filosofi italiani è avvenuto in America prima che in Italia e di lì, ancora una volta, si è trasmesso in altri Paesi. Si tratta di un processo allo stato nascente, e per ora meno identificabile di quelli che l’hanno preceduto, anche per l’eterogeneità, a volte marcata, dei cantieri di ricerca aperti dai filosofi italiani più conosciuti all’estero. Eppure è innegabile che da qualche anno una ‘differenza italiana’, anche se in maniera latente, si vada delineando, come prova il numero crescente di convegni, libri, saggi a essa dedicati”. E tante traduzioni, aggiungerei, come si esplicita in altra parte del libro.

Quel thought, rispetto a philosophy e a theory ha un significato performativo. Spiega il filosofo napoletano: “Il pensiero italiano non si genera, come la Scuola di Francoforte, dal programma di un Istituto e neanche dalle teorie complesse che, subito dopo la stagione strutturalista, hanno caratterizzato i primi testi degli autori francesi. Esso è nato nelle dinamiche politiche dei primi anni Sessanta in Italia – solo successivamente, e non sempre, confluite nel più largo flusso del movimento studentesco internazionale. In questo modo la prassi ha preceduto la teoria, interagendo con essa secondo un’ulteriore connotazione del ‘fuori’ – non tanto riferito a una dislocazione geografica o alla creazione di nuovi comparti disciplinari, quanto piuttosto alla dimensione del ‘politico’. Il ‘fuori’ che mobilita l’Italian Thought non è  né il ‘sociale’ dei tedeschi né il ‘testo’ dei francesi, ma lo spazio costitutivamente conflittuale della prassi politica”.

Costretti, i grandi pensatori italiani, in assenza di mediazione da parte di uno Stato unitario, a ridosso del potere locale ed ecclesiastico, a un’azione ambivalente e di contrasto verso di esso. Continua Esposito: “Fuori da questa particolarissima condizione non si capirebbe il destino di autori esiliati come Dante e Machiavelli, bruciati come Bruno e Vanini, costretti all’abiura o alla prigione come Galilei e Campanella, morti ai lati opposti della stessa barricata come Gramsci e Gentile. […] Quella italiana è stata sicuramente più una filosofia della resistenza che del potere. Non è un caso se a essere tornato al centro degli studi in tutto il mondo è Gramsci e se il nucleo germinale dell’Italian Thought è l’operaismo italiano degli anni Sessanta nelle sue varie anime”.

Esposito distingue anche le varie tonalità tra negazione, neutralità e affermazione. La prima riguarda l’esito della German Philosophy, la seconda quello della French Theory, mentre la terza è prevalente dell’Italian Thought. Egli stesso, sul versante della biopolitica, ne ha elaborato una declinazione affermativa. Che cosa afferma la filosofia italiana? Risponde Esposito: “La tesi che mi sentirei di avanzare è che essa afferma la critica della teologia politica. Tale critica sta nelle corde del pensiero italiano classico – lungo una tradizione laica che lega i pensieri di Machiavelli, Bruno, Genovesi, Leopardi. Anche la biopolitica è oggi pensata in Italia nel rovescio della teologia politica. Naturalmente ciò presuppone un interesse diffuso per tale categoria. È un dato di fatto che gran parte degli esponenti dell’Italian Thought – da Tronti ad Agamben – hanno, pur se con prospettive diverse, riflettuto sulla relazione tra teologia e politica. A essa rimandano anche le teorie della secolarizzazione elaborate negli anni Ottanta e Novanta da Marramao e Vattimo”.

Ma è il paradigma del conflitto la figura più politica e più vera dell’Italian Thought. Conclude Esposito: “Perché la potenza possa, se non scardinare, quantomeno fronteggiare il potere, deve presupporre la possibilità del conflitto con chi di volta in volta lo detiene. Come è noto, è precisamente questa la novità dirompente che Machiavelli insedia all’origine del pensiero politico, ma anche del pensiero italiano”. L’ordine, in buona sostanza, include il conflitto, lo porta dentro di sé: “Senza conflitto – nel significato politico, e non bellico, del termine – l’ordine è destinato a inaridirsi e poi a spegnersi. Il vero nemico della potenza non è il conflitto, ma la neutralizzazione”.

Machiavelli, come Canetti, è da sempre parte della riflessione speculativa di Esposito. Autori che possiede perché ne è posseduto: “Come diceva Machiavelli, per conoscere il popolo bisogna essere principe e per conoscere il principe bisogna essere popolare”. Per dire che la luce può giungere soltanto da ‘fuori’: “Il rapporto con il ‘fuori’ caratterizza anche in un altro senso il pensiero italiano. Ed è il fatto che solo da fuori è stato possibile riconoscerne la differenza e il rilievo”.

Ecco perché ho scritto, in cima, che Esposito ridefinisce i confini di un pensiero senza confini. Senza barriere. Dentro e fuori sono inesorabilmente in dialogo, si contaminano, si arricchiscono vicendevolmente. I termini della politica sono destinati ad aprirsi, a uscire dalle gabbie asfittiche del pensiero e non solo, da quelle gabbie dove ancora in tanti cercano di tenerli relegati: “Chi può attestare che un pensiero che gli attraversa la mente non sia mai stato pensato da altri? E chi può immaginare di sopravvivere al propri pensieri – che nessun altro potrà ripensarli, prima di lasciarli a sua volta ad altri ancora? Starei per dire che non esiste nulla di meno personale dei pensieri. Essi ci vengono da fuori e vanno sempre fuori di noi”. Oltre ogni impensabile confine.