Michele Ainis

Michele Ainis, la solitudine di massa

Davide D'Alessandro

In “Il regno dell’uroboro”, il noto costituzionalista riflette sulla fragilità della democrazia investita da un semplice clic

Clic. Basta un clic e la democrazia perde peso e sostanza, si affloscia, tramonta. “La democrazia non è mai stata così fragile come da quando siamo tutti connessi con un clic”, denuncia Michele Ainis, costituzionalista con il dono della scrittura intensa e godibile. Non è poco. Il regno dell’uroboro. Benvenuti nell’era della solitudine di massa è il suo ultimo libro, edito dall’intraprendente La nave di Teseo. Confesso: ho iniziato a leggerlo al contrario, da pagina 111, dall’ultimo capitolo, poiché i circoli viziosi mi affascinano. L’incipit è straordinario: “Si respira un’aria fiacca, stanca. Mancano gli stimoli, sono venute meno anche le forze. Una volta le traevi dalle idee, se non dagli ideali. E le idee sbucavano dai libri. Ma di che parlano, adesso, i libri? Parlano d’altri libri, non più della vita. Rimasticano pagine già scritte, dettandone l’ennesima variante. Raccontano una storia che non ha più il potere di sedurti, né di sorprenderti, perché la conosci già, e ciò che conosci non ti piace, o comunque non ti meraviglia. È dallo stupore che si genera la filosofia, diceva Aristotele. Ma il filosofo attinge a un’energia vitale, che a sua volta si trasmette con parole nuove, vergini. Le nostre parole, invece, parrebbero tutte consumate. E allora i libri si ritorcono in se stessi, diventano sempre più autoreferenziali, cadono nel vizio di Narciso”.

Be’, anche questa rubrica scrive di libri, tutti da pubblicare e tutti da leggere. Li scelgo con cura, perché non sono tutti uguali. Mi sorprendono e attivano la circolazione del sangue e del pensiero. Li leggo e ne scrivo per farli leggere. Comprendo l’aria fiacca e la stanchezza. Non sono anni felici. Eppure, basta cercare, scoprire e ti sorprendi, magari con piccole chicche, delizie che ti seducono, che hanno il potere di trascinarti altrove, lontano dal rumore di rito. Il regno dell’uroboro ci riesce, alimenta il sangue e il pensiero senza farci mordere la coda, ma guardando avanti, problematizzando l’infernale sconquasso della mente, gli innumerevoli bombardamenti che la Rete impone di subire alla vita, alla nostra vita. È vero, riteniamo di vedere e siamo visti. Riteniamo di scoprire e siamo scoperti. Riteniamo di spogliare e siamo spogliati. Nudi. Completamente nudi. “La Rete diventa un po’ come uno specchio, una superficie riflettente dove non si moltiplica l’immagine del mondo bensì quella dei singoli individui”.

La solitudine di Narciso, la solitudine dei molti, comuni e non numeri primi, in un tempo di amicizie forzate, non volute, l’algoritmo al potere, perché “dietro lo schermo del nostro cellulare o del computer c’è un sarto invisibile, che ci cuce addosso un vestito su misura. Può farlo un governo, per migliorare l’erogazione dei servizi pubblici, calibrandoli in base alle esigenze dei propri cittadini. Lo fanno, ormai, tutte le imprese, allo scopo di offrire prodotti in linea con i gusti dei consumatori”.

Siamo indifesi. Più vogliamo vedere, più siamo visti. Più vogliamo spogliare, più veniamo spogliati: “Per ricevere una app o per navigare dentro un sito bisogna accettare i cookie, questi Dracula elettronici che ci succhiano i dati personali”. Veniamo regolarmente scippati, truffati attraverso il dono. Continua Ainis: “Le big companies ci regalano le loro informazioni, noi gli regaliamo i nostri dati. Solo che il nostro regalo è inconsapevole, non ci rendiamo conto né del cassiere né del prezzo. Mentre il loro non è affatto un regalo, casomai uno scippo, sia pure in guanti gialli”. Gli esempi portati dall’autore a sostegno della tesi sono incontrovertibili. C’è spazio anche per Michel Foucault. Veniamo osservati e “frugati dentro e fuori, senza sapere chi ci osserva, senza incrociarne mai lo sguardo”. Siamo ingenui. Come tanti bambini davanti all’emozione del gioco senza fine. Prigionieri di un gioco, sporco, che non ha fine. Le strutture, inizialmente aperte, si sono trasformate in microcosmi chiusi: Google, Facebook, Twitter, Instagram. Libertà pubbliche e controlli privati: “Il nuovo che avanza non è un sapere diffuso, bensì un’ignoranza confusa”.

Ainis, ovviamente, non può non emettere una radiografia puntuale su un’altra autoreferenzialità: quella degli pseudo-partiti, della capocrazia. Eppure, “la democrazia – diceva Kelsen, sulle orme di Platone – è assenza di capi”. Kelsen? Platone? Chi erano costoro? Qualcuno conosce Rousseau, ma è soltanto il logo di una piattaforma. Per il resto, è solitudine di massa. E un clic. Un semplice clic. Per fingere partecipazione, mentre la democrazia tramonta. Elementare, Ainis! Eccellente, Ainis!