Giovanni Orsina

Giovanni Orsina, Massa e Canetti

Davide D'Alessandro

L’ultimo libro del professore di Storia contemporanea si affida all’opera del Nobel per comprendere gli anni di Tangentopoli, del rovesciamento, della spina del comando, della folla aizzata

Senza Elias Canetti non avremmo avuto il bel libro di Giovanni Orsina, La democrazia del narcisismo. Breve storia dell’antipolitica, edito da Marsilio in una Collana, Nodi, che sforna testi di notevole interesse. A dicembre del 2016, sulla Rivista “Ventunesimo Secolo”, Orsina pubblica un saggio dal titolo Le spine del potere. Tangentopoli secondo Elias Canetti. Il Direttore editoriale della saggistica Marsilio, Ottavio Di Brizzi, lo legge e incoraggia l’autore a farne un volume, a renderlo pietra fondante di un vero libro.

Orsina si mette al lavoro e, partendo dal Novecento e dalle contraddizioni della democrazia, passando per la politica del narcisismo, approda alla comprensione di Tangentopoli, che è sì la parte terminale del libro, prima di un brillante epilogo ma, grazie a Canetti e all’aderenza con il tema della massa e del potere, diviene la parte cruciale, la più suggestiva e sofisticata, il simbolo della caduta. Orsina dimostra di conoscere la massima opera canettiana, ne sa evidenziare i punti nevralgici e li utilizza per spiegare, con acume e sensibilità critica, la crisi italiana del 1992-1993. Leggendo Massa e potere trova soprattutto tre riflessioni che lo agevolano nella comprensione: la dicotomia tra ‘masse aperte’ e ‘masse chiuse’, la ‘spina del comando’, e il rapporto fra potere e metamorfosi. Annota l’autore: “L’odio per la politica e i politici che si sprigiona nella crisi italiana del 1992-1993, sproporzionato per intensità rispetto ai demeriti reali di quella classe dirigente, può dunque essere ‘spiegato’ ipotizzando che in quell’occasione si sia formata una massa di rovesciamento. Trafitti da innumerevoli spine, impossibilitati per decenni a liberarsene con le elezioni, gli italiani colgono infine l’occasione per cacciarle tutte in gola a chi, secondo loro, ne è responsabile. Ciò vale per gli elettori dei partiti di governo più ancora che per gli altri: nessuno è gravato di spine tanto quanto loro”.

Il lento divorzio tra cittadino e politica, la lenta e costante erosione del grado di fiducia ha avuto per motore un veleno potentissimo, il risentimento: “La politica non controlla più il futuro. Ha sempre meno senso, potere, respiro. La sua funzione principale, ormai, è fare da capro espiatorio per il risentimento universale. Solo se riconosciamo che questa crisi ha le sue radici nel cuore della democrazia, e sta montando da almeno un secolo, potremo comprenderla a fondo”.

Ecco perché il lavoro a ritroso di Orsina convince appieno e dà i suoi frutti. Nulla avviene tra ieri e oggi, tra la domenica e il lunedì. La tragedia matura da lontano, i cristalli di massa non si formano all’improvviso, quelli di natura mediatica, poi, hanno contribuito ad assestare il colpo mortale. L’orlo del precipizio era lì, bastava l’ultima aizzata, l’ultima spinta. Senza dimenticare la muta di caccia: “Collocata alla testa della massa di rovesciamento, la muta di caccia dei magistrati sembra sapere assai bene che il bersaglio non è questo o quell’individuo sospettato d’aver commesso un reato, ma la massa in fuga dell’intero ceto di governo”.

Se Orsina, analista lucido poiché non di parte, fa di Canetti il maestro che lo accompagna durante il tortuoso viaggio, è al poeta Montale che affida il finale. Al Montale che, sul filo della corrente, ripone speranza nella modestia e nel senso del limite degli uomini della strada. L’uomo della strada sa tante cose, “la vera storia, quella che conta e che non si trova nei libri, è proprio questa, fatta dagli uomini semplici; ed è la sola che regge ancora il mondo. Forse domani sparirà anch’essa e allora la scienza potrà registrare un uomo davvero inedito, un nuovo esemplare zoologico di cui per fortuna ignoro i connotati. Non sono affatto certo che nei microsolchi del disco questo portentoso individuo non sia già nascosto”.

La ricostruzione lunga un secolo conduce a noi, a questo spaesamento, a questa assenza di riferimenti certi, a questa democrazia malata. La malattia avanza inesorabilmente e alcuni piccoli protagonisti, in camice bianco, della malattia sono parte. Sembrano medici, recitano il ruolo dei medici, ma sono malati. Giostrano in mezzo alla cenere dopo il grande incendio appiccato da altri. Il nuovo esemplare zoologico presto o tardi ci dirà dove andremo a parare. Non a caso Orsina ha posto a esergo due domandine. Vengono da La provincia dell'uomo, vengono dal nostro amato Canetti: "Andrà meglio. Quando? Quando governeranno i cani?".