Alain Touraine

I soggetti umani di Alain Touraine

Davide D'Alessandro

Il sociologo francese compie un’analisi articolata e profonda, esamina il passaggio dalla società industriale a quella postsociale, lancia l’ultimo, accorato appello: “Che ognuno si metta all’opera!”. Ma la tecnica resta ostacolo insormontabile...

È sempre un piacere leggere e (ri)leggere Alain Touraine. Noi, soggetti umani. Diritti e nuovi movimenti nell’epoca postsociale, edito da ilSaggiatore, è un libro di profonda meditazione e immaginazione e se è vero che il sociologo francese lo sente più vicino di tutti gli altri scritti fin qui, è anche vero che non ci sarebbe stato senza gli altri e restiamo in attesa del prossimo, nonostante l’avvertenza dell’autore: “Mi sento più vicino a Noi, soggetti umani che a tutti gli altri miei libri. Sono contento di essere finalmente riuscito ad approdare in un territorio che non avevo ancora potuto esplorare. Così contento che vorrei fosse considerato come il mio primo libro, anche se forse sarà l’ultimo”.

A novantadue anni si possono ancora scrivere libri magistrali e le voci del glossario, da antimovimenti sociali a universalismo, ci dicono di una cura e di una ricerca d’altri tempi, di una forma e di una sostanza di pensiero raramente riscontrabili tra gli studiosi che ci circondano. L’analisi è pura, priva di condizionamenti, si respira a pieni polmoni l’aria tersa dell’alta montagna dove occorre sostare con pazienza, senza fretta. Dopo, nulla è come prima.

La comprensione di un passaggio rilevante e decisivo, dalla disgregazione della società industriale, cui Touraine aveva dedicato La Fin des sociétés, all’affermazione della società postsociale passa per l’imposizione e la caratterizzazione dell’individualismo, “ossia la corrispondenza sempre più diretta tra gli individui e le tendenze universaliste del soggetto umano. L’individualismo promosso da chi governa privilegia il consumismo come soddisfazione dei desideri”. Ma il soggetto umano ha in sé la capacità di creare, la dimensione della creatività in grado di porlo “al di sopra di tutte le istituzioni, di tutti gli interessi, di tutti i poteri”.

Eppure, il soggetto umano si trova a fare i conti con la tecnica e la tecnica lavora soltanto per sé. È questo l’ostacolo a oggi insormontabile, l’ostacolo contro cui anche le speranze del sociologo francese vanno inevitabilmente a infrangersi. Dopo le società industriali, la volontà di essere soggetto, dal soggetto all’attore, dall’etica alla politica, per dirla con i capitoli del libro, resta l’amaro in bocca di un qualcosa di indefinito, di una speranza appunto che non può avverarsi. Si chiede Touraine nelle conclusioni che, ovviamente, conclusioni non sono, ma soltanto elementi per una nuova sfida: “Come potenziare la capacità d’azione? Come passare dall’analisi all’iniziativa? Chi, tra noi, non si è mai posto questa domanda, con la speranza di trovare il pulsante da schiacciare per rimettere in moto la storia? Nessuno, mi auguro, è più disposto ad arruolarsi in una nuova avanguardia leninista o in una nuova rivoluzione culturale”.

E lancia un accorato appello: “Di fronte a tutte queste difficoltà, la sola risposta possibile per ciascuno di noi consiste nell’avanzare sulla strada che ci avvicina al rispetto dei diritti del soggetto umano, attraverso il pensiero, l’azione politica o economica, la lotta contro l’arbitrio e la corruzione, la difesa delle libertà a tutti i livelli, la tolleranza, la speranza. È proprio da ciascuno di noi che dipende oggi la liberazione di tutti. Che ognuno si metta all’opera!”. Ma l’uomo, quando si mette all’opera, spesso lo fa per sé, come la tecnica, per potenziare sé stesso, e i richiami alla difesa dei diritti universali, a organizzarsi in movimenti di difesa sono sempre destinati al fallimento, poiché anche nel saggio filosofico di Touraine, come l’ha definito l’attento lettore Emanuele Severino, non si tiene conto fino in fondo dell’ancestrale bisogno dell’uomo di creare sì, ma pure di distruggere. Di annientare e autoannientarsi. Non è colpa del conflitto. È colpa di chi il conflitto lo reca in sé. Allora è Machiavelli a poterci dire ancora tanto, se non tutto, sull’uomo e sulla politica, su come siamo e su come dobbiamo agire, restando con gli occhi fissi sulla realtà effettuale della cosa, senza infingimenti, senza evocare tolleranze, utopie e speranze. Facendo, operando, non sperando.