"Ulisse e le Sirene" di John William Waterhouse

Un Padre è per sempre

Davide D'Alessandro

Fioriscono libri sulla sua scomparsa, sulla sua evaporazione, sul suo tramonto. Ma è vero che non c’è più?

“Padre qua, padre là, padre su, padre giù. Tutti mi chiedono, tutti mi vogliono, donne, ragazzi, vecchi, fanciulle. Uno alla volta, per carità! per carità! per carità!”. Improbabile Figaro, all’inizio del terzo millennio, è tutto un invocare, tutto un volere, tutto un domandare: Padre, dove sei? Per ché sei sparito? Torna, torna presto, abbiamo bisogno di te. È tutto un pubblicare, sul Padre, tanto che persino Luca Ricolfi non ne può più: “Non so se è un caso, o solo una sensazione personale, ma io mi sento inondato. Anno dopo anno, mese dopo mese, e ultimamente giorno dopo giorno, sulla mia scrivania si accumulano i libri sul padre, la sua scomparsa, il suo tramonto, la sua evaporazione. Una febbre pare essersi impadronita di tutti i professionisti della scrittura: narratori, giornalisti, sociologi, psicologi, psicoanalisti, filosofi, giuristi”. Si invoca qualcosa che non c’è, si vuole qualcosa che non si ha, si domanda qualcosa in attesa della risposta. Ma è vero che il Padre non c’è più? Quale Padre non c’è più? Quale Padre, per dirla con Lacan, è evaporato? Il Patriarca, il Padrone, il Dominus, il Comandante generale o anche ogni idea di Padre?

Lo abbiamo ucciso davvero, il Padre, o abbiamo eliminato, anzi si è autoeliminato, un certo tipo di Padre? È possibile eliminare, materialmente e/o simbolicamente chi, insieme alla Madre, ci mette al mondo, donandoci vita, la Vita? La sua eliminazione, materiale e/o simbolica, non è soltanto un’illusione? Un Padre non è destinato a (ri)vivere sempre in un’azione, in un gesto, in un pensiero, in un comportamento, in uno spaesamento del figlio? Cambiano le epoche, mutano le stagioni, si trasformano i Padri. Ma esiste un Padre da desiderare? In tanti si prodigano e affannano tentando di promuovere il Padre ideale, da vendere nel nuovo supermercato quotidiano. Non com’è, ma come dovrebbe essere. Non com’è, ma come vorrebbero che fosse. Chi si ispira a Ulisse, chi sogna Anchise, chi non dimentica Mastro Geppetto che si fa Padre sensibile del burattino Pinocchio, chi evoca il Carducci di Pianto antico, chi ambisce alla generosità del Padre delineato da Montaigne in Dell’affetto dei padri per i figli. Quanti Padri! Quante idee e immagini di Padre!

Sapete qual è, per me, il Padre ideale? Mio Padre. Lui e non un altro. Perché mi ha generato insieme a mia Madre. Perché è perfetto nella sua imperfezione, forte nella sua debolezza, amaro nella sua dolcezza, presente nella sua assenza. Non andate, vi prego, in cerca di un Padre, non fatevi consigliare un Padre che non esiste. La verità, vi prego, sul Padre. Ognuno ha un Padre. È lui e non un altro. Osservatelo, discutetelo, combattetelo, odiatelo, amatelo. Ma non pensate di cambiarlo, di sostituirlo. E non cercate di cancellarlo. Non è possibile cancellare un Padre. Lo si può annientare, eliminare fisicamente, bruciare. L’hanno fatto in tanti, dall’epoca greca e, soprattutto, romana a oggi, come spiega Eva Cantarella che, appoggiandosi su una definizione di Paul Veyne (“il parricidio era una nevrosi nazionale”), tratteggia nell’ultimo Come uccidere il padre metodi e forme del supplizio capitale, del sacrificio umano, dei sessantenni lanciati dal ponte. Ma un Padre resta anche quando non è più, anche quando si pensa di averlo eliminato materialmente e/o simbolicamente. Un Padre è per sempre. Perché si è figli per sempre.