Una manifestazione anti-Trump (Foto LaPresse)

È la storia, baby!

Matteo Scotto

Sbaglia chi crede che la pace in Europa sia parte di un ordine predeterminato. Essa non è nient'altro che il frutto della risolutezza degli uomini che hanno contribuito a crearla. Senza tale determinazione, la storia non farebbe granché fatica a ritornare al suo andamento spezzato

Certo, a constatare come l’uomo postmoderno, così ingravidato d’immortalità e onnipotenza — oh dolce inganno — sia anch’egli preda di quel fiume irregolare, caotico e senza posa che è la storia, si prova in fondo un bel sollievo. 7 febbraio 2019. Attacco politico italiano contro la Francia. Allo scandalo! Allo scandalo! L’Ambasciatore francese richiamato in patria! Posta, clicca, condividi, twitta, rilancia. Ce sera la guerre! Ah no, alt! Sono solo populisti, dilettanti da strapazzo, presto se ne andranno e l’azzardo sarà punito dall’ordine costituito. Tutto tornerà come prima: calma, sicurezza, ordine: eredità indelebile di un continente in pace. In effetti eravamo stati ammoniti: «gli spiriti maligni non sono stati banditi per sempre dall’Europa. Ad ogni generazione si pone nuovamente il compito di impedire il loro ritorno, di superare i pregiudizi e di far cadere i sospetti». Helmut Kohl, ultimo statista di una razza estinta, conosceva le debolezze dell’Europa. D’altronde qualche secolo prima era stato un suo avo, Federico II, figlio di un’altra Germania, la Prussia, ad affermare all’alba di un vita trascorsa sul campo di battaglia: “da oggi non attaccherò più neanche un gatto”. E poi guerra, guerra, e ancora guerra. È sempre andata a finire così. Difficile immaginare un destino diverso per una lingua di terra — l’Europa — che non è nient’altro che ultima espressione geografica di un continente più vasto, attorniata da mari e terre, crocevia di popoli e genti. Eppure c’è stato un momento, giusto nel secolo scorso, dove per volontà degli uomini è stato fatto un tentativo di ammaestramento di questo fiume di sangue. L'abbiamo chiamata Unione europea. Un disegno geopolitico ponderato e eterodiretto ha posto le basi per un’epoca di non belligeranza tra i popoli europei, durata finora sessant’anni. Semplice calcolo e strategia. Sapere aude. Sono state sei decadi di fatica, stoicismo diplomatico, contrassegnate da una tolleranza reciproca eccezionale e disciplinata, che hanno aperto nell’abisso dei secoli uno spiraglio di convivenza pacifica in terra europea. Un barlume di speranza non designato e non scritto da nessuna parte, che per poter continuare a emanare luce ha bisogno di nuove energie ad alimentarlo. Senza la volontà di uomini disposti a ciò, esso potrà facilmente richiudersi, riportando l’Europa nel notturno che ne ha caratterizzato grossa parte della storia. L’errore più grave che abbiamo commesso e che continuiamo a commettere è così credere che la pace europea sia un moto gravitazionale incontrovertibile, dato per natura. Non v’è nulla che garantisca la pace in Europa se non la risolutezza di chi ha contribuito a crearla. Senza tale determinazione, la storia non farebbe granché fatica a ritornare al suo andamento spezzato. La responsabilità non è così degli spiriti maligni di cui parlava Kohl, onnipresenti nei tempi, bensì delle generazioni sonnambule oggi non in grado di contrastarli. Forse noi europei figli del presente ci siamo trovati con un’eredità troppo grande da raccogliere, senza lo spirito né i leader giusti per farlo. Non sarebbe la prima volta di non dimostrarsi all’altezza dei propri padri, atto finale comune alla fine dei grandi imperi. Tant’è che mai si sono vissute elezioni europee con tanta frenesia e sentimento catastrofico come quelle del prossimo maggio. Alea iacta est? Può darsi, ma — ed è questo motivo di conforto — nulla si ripete e il timone della storia potrà ancora una volta virare in un'altra direzione. Rimane l’inquietudine di essere in mare aperto senza timoniere.