Un palazzo della Commissione europea

Il paradosso del sovranismo

Matteo Scotto

Gente strana, i sovranisti. Già il nome dice tutto: un minestrone nostalgico tra destra e sinistra che non l’avrebbe accettato manco la Bebelsberg per un film di propaganda nel Terzo Reich.

Gente strana, i sovranisti. Già il nome dice tutto: un minestrone nostalgico tra destra e sinistra che non l’avrebbe accettato manco la Bebelsberg per un film di propaganda nel Terzo Reich. Paladini sullo stile di Diego Fuffaro, che non appena schiacci play partono in quarta, chi citando Marx, chi destreggiandosi tra economia politica e fantasmagorici disegni istituzionali. Il tutto naturalmente all’insegna di un unico mantra: vogliamo riprenderci ciò che ci appartiene. Dalla moneta, alle banche centrali, all’industria, ai confini; insomma, loro rivogliono la loro sacrosanta sovranità. Tutto deve tornare sotto il controllo del grande e infallibile Leviatano, il mitico Stato nazionale che così tanto ha contribuito, guerre a parte ça va sans dire, al benessere e al progresso del nostro continente. Certo, rimarranno parecchio delusi, i sovranisti,  il giorno in cui si sveglieranno dal sonno incantato per accorgersi che il motivo per cui l’Europa non funziona — o meglio funziona male — è proprio perché ci siamo tenuti la tanto benamata sovranità. Come spiega nel suo ultimo libro Sergio Fabbrini, che non crede agli extraterrestri ma che di Europa ne capisce un bel po’, alea iacta fuit all’inizio degli anni '90, e  più precisamente con il Trattato di Maastricht. Tale Trattato, che fu la reazione europea ai mutamenti storici di fine anni '80, sancì, oltre che una road map per l’Unione economica e monetaria, una precisa risoluzione in merito alle questioni di politica estera, sicurezza, giustizia e affari interni. Vi era l’impressione difatti che il processo d’integrazione europea non potesse più basarsi esclusivamente sul mercato comune, ma che dovesse includere anche le cosiddette aree strategiche. Peccato che tra i paesi firmatari fu raggiunto proprio il compromesso della sovranità, vale a dire che per tutte le nuove politiche raggruppate nei due pilastri (PESC e GAI) veniva garantito ai governi un ruolo di primo piano nel processo decisionale. Una logica intergovernativa fondata sul voto all’unanimità e su istituzioni quali il Consiglio europeo e il Consiglio dei ministri, portatori esclusivi di interessi nazionali. Risultato? Niente spazio per soluzioni comunitarie che definiscano un qualsivoglia destino comune. La storia fece poi il suo corso, con il fallimento della Costituzione europea nel 2005 e l’approvazione subito dopo del farraginoso Trattato di Lisbona, che eliminò i pilastri con le relative policy, e tuttavia mantenne nelle norme la logica intergovernativa che contribuì a forgiarli. Ora i sovranisti lo sanno, che in fondo in fondo hanno vinto loro, e con il Mediterraneo insanguinato e il Vicino Oriente in fiamme possono urlarlo più forte che mai: viva la sovranità!

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