M5s: ovvero del vuoto al potere

Carlo Torino

L'inconsistenza e la quasi banalità delle tesi di Bagnai e Minenna su Europa e debito. 

Le parole pronunciate da Marcello Minenna al recente dibattito sul debito pubblico, tenuto presso la Camera dei deputati e promosso dal M5s, suscitano un sentimento di quasi devozionale e insieme attonito raccapriccio per l’ovvietà delle tesi; e diciamolo pure, per la banalità di certi assunti economici che tralasciano del tutto di considerare gli “equilibri di potenza” in Europa: il fattore politico fondamentale. D’altra parte, non sorprende affatto che il professor Bagnai abbia posto la sua consueta enfasi cattedratica sulla necessità, a suo avviso, di un abbandono unilaterale dell’Italia della moneta unica (Italexit); suffragata peraltro da discutibili simulazioni stocastiche, e rapporti causa-effetto quanto meno arbitrari. È inconsolabile il determinismo economicistico, a tratti disumanante, che pervade le analisi del professore. In pari tempo vengono sistematicamente sottovalutati gli effetti di panico finanziario e di sofferenza umana – temiamo non solo temporanei, come frettolosamente derubricati da Bagnai – connessi a un evento del genere. Ma torniamo alle tesi di Minenna. La singolare definizione di un M5s «umile e costruttivo» ha risospinto non pochi osservatori (anche internazionali) – dapprincipio acutamente incuriositi dal tenue mutamento nei toni del movimento verso l’euro – in un acre disappunto e in una malcelata diffidenza. È quanto meno bizzarro e insieme fantasioso dipingere gli onorevoli Di Battista e Di Maio, e il loro demiurgo Beppe Grillo, come umile e costruttiva genia.

Ma veniamo ai temi economici. Le posizioni dell’ex assessore al comune di Roma, sia chiaro, sono in parte più ragionevoli e meritevoli di ascolto; meno intrise di intransigentismo, quando accademico quando bloccardo; meno schiave del messianismo ideologico tipico dell’antropologia pentastellata. A testimoniarlo vi sono anche le opinioni espresse in merito alla liquidazione delle banche venete: lontane dalle strida d’inconsapevole indignazione del suo partito; più concrete nella sostanza tecnica. Ma i titoli al riconoscimento di un equilibrio intellettuale terminano qui. Minenna asserisce che è necessario rifiutare il Fiscal compact, abiurare la fede nella regola del debito, e riscrivere i trattati. Definisce il pareggio strutturale ­– recepito nella Costituzione – arbitrario, pregiudicante per le sorti economiche dell’Italia, e sostanzialmente pro-ciclico: cioè, aggraverebbe una fase di contrazione economica, anziché contrastarla. Una prima osservazione risiede nel constatare che la distanza della crescita economica Italiana rispetto al suo potenziale, ha di fatto creato spazi fiscali aggiuntivi nel bilancio dello Stato. L’effetto, al netto delle componenti cicliche, è dunque favorevole. Se è vero che la formula di determinazione dell’output gap è arbitraria – come affermato da Minenna ­–, andrebbe ricordato che il ministro dell’Economia Padoan, nell’ultimo anno, ha condotto nelle sedi europee deputate una battaglia solitaria per un aggiornamento di quelle statistiche.

Un ulteriore elemento di perplessità sorge in relazione alle strategie di azione politica proposte in ambito Europeo. Germania e Francia ­– viene suggerito ­–  dovrebbero limitarsi a prendere atto del fatto che se all’Italia non venisse concessa maggiore flessibilità di bilancio in deficit, all’orizzonte si renderebbe concreto uno scenario di rottura, e di uscita dall’Unione monetaria su basi unilaterali. Al di là del merito delle considerazioni tecniche ­– è quasi una banalità affermare che occorrano risorse pubbliche a sostegno della crescita, o ribadire l’importanza degli investimenti per la produttività; il punto sarebbe spiegare “come” –; sorprende il semplicismo dottrinario dell’analisi politica. In sede europea va creato un consenso politico intorno alle istanze, in questo caso economiche, di uno o più paesi (anche la Spagna è in una situazione simile alla nostra); non si possono minacciare i nostri interlocutori affermando che o si cambiano i trattati o è la fine del progetto Europeo (si veda il triste epilogo dell’opposizione greca). Prova ne sia la crisi dei migranti, ove le ragioni dell’Italia sono inoppugnabili, eppure non si addiviene ancora a una soluzione condivisa. In politica occorre agire in base al principio di realtà; e, in misura ancor maggiore, è fondamentale costruirsi una credibilità. Posizioni più inclusive; apertura verso idee per una ricerca comune di soluzioni tecniche che portino a una maggiore condivisione dei rischi in seno all’Unione; una nuova progettualità ideale non meno che politica. Solo in questo modo l’Italia potrà condurre, con successo, la sua battaglia per una “more inclusive Europe”.